la storia
venerdì 24 Gennaio, 2025
di Margherita Montanari
«Mi chiamo Rami Elhanan, ho 75 anni, sono un graphic designer di Gerusalemme. Sono israeliano, sono ebreo, ma prima di tutto sono un essere umano». «Mi chiamo Bassam Aramin, vivo a Gerico, in Cisgiordania. Quando avevo 17 anni ho passato 7 anni in un carcere israeliano». Quasi mai negli incipit delle storie si coglie la loro vera essenza. È guardando alle deviazioni che prendono, piegate dalla forza di volontà degli individui, che la loro vera sostanza prende forma. Il tempo ha deciso che le storie di Rami Elhanan e Bassam Aramin non seguissero il destino apparentemente già scritto dagli eventi. Uno israeliano, l’altro palestinese, entrambi sono cresciuti sulle recrudescenze di un conflitto lacerante, iniziato prima che nascessero. Rami ha perso sua figlia Smadar, di 14 anni, mentre stava andando a scuola in un attentato suicida di Hamas, nel centro di Gerusalemme. Abir, la primogenita di Bassam, è morta a 10 anni, uccisa da un proiettile di gomma sparato da un poliziotto israeliano, mentre usciva da un negozio di caramelle. Eppure, oggi Rami e Bassam si chiamano reciprocamente «fratello».
Dall’odio all’amore
Nelle crepe del dolore hanno visto insinuarsi la rabbia e il desiderio di vendetta. Li hanno riconosciuti e trasformati in dialogo e azioni di pace. «Le idee sono più importanti della storia. Se fosse per gli eventi che hanno segnato le nostre vite, oggi saremmo nemici – dicono i due padri orfani di figlie – Invece ci amiamo». Rami Elhanan e Bassam Aramin sono conosciuti grazie al «Parents Circle – Families Forum», un’organizzazione che da 25 anni promuove la riconciliazione tra i popoli in Israele e in Cisgiordania. Nel movimento, hanno incontrato altre famiglie, israeliane e palestinesi, segnate dalla perdita di persone care a causa del conflitto. Oggi il forum riunisce più di 800 madri e padri uniti dalla consapevolezza che «nessuno dei due popoli sparirà» e «prima ci rispettiamo a vicenda, prima potremo mandare i nostri figli a scuola e vederli tornare a casa sani e salvi». Sarà questa la testimonianza che Rami e Bassam porteranno al Living Memory, domenica 26 gennaio, nell’incontro «Vivere la guerra, realizzare la pace» (Sala della Federazione della Cooperazione, ore 16).
«Ciclo di violenza senza fine»
Il Parents Circle è stata fondato ben prima del 7 ottobre e di tutte le conseguenze che ha avuto in Medio Oriente. «Il conflitto va avanti da 150 anni – racconta Rami – È un conflitto in cui ciascuna delle parti pensa a vendicarsi per ciò che è accaduto in passato, senza guardare al futuro. Ogni volta che incontriamo le persone spieghiamo che i combattenti di Hamas protagonisti del massacro del 7 ottobre, erano bambini di 12-14 anni quando Israele bombardava Gaza nel 2014. Non c’è oppressione senza resistenza. E l’inevitabile risultato è un ciclo di violenza che non ha mai fine».
«Noi offriamo un’altra via»
Certo, l’eredità degli ultimi due anni di odio – «di genocidio», dicono senza tentennamenti i due padri – rischia di portare sempre «più odio, più brutalità, più fascismo». Guardando la situazione attuale, notano l’incapacità reciproca del popolo israeliano e palestinese di avere compassione e comprendere il dolore altrui. «Noi offriamo un’altra via», concludono Rami e Bassam, le cui storie sono raccontate nel capolavoro letterario di Colum McCann Apeirogon.
Esclusi dalle scuole, la pace spaventa
Oggi sempre più persone condividono la loro missione di riconciliazione tra popoli. «Le nostre storie creano una crepa nel muro che separa le due nazioni», spiega Rami. E così dicono anche i dati degli attivisti nel Parents Circle – Families Forum: dal 2023, 100 nuove famiglie di vittime si sono unite al gruppo. Il numero di «ambasciatori di pace» cresce. «Le attività di divulgazione, i camp che coinvolgono i bambini e le attività di solidarietà hanno parlato ormai a migliaia di persone – continua Bassam – Ora il governo israeliano ci impedisce di andare nelle scuole. E, nonostante il tribunale ci abbia dato ragione, continua a non farci entrare. Il nostro messaggio di pace fa paura a un certo tipo di politica».
«Riconoscere i palestinesi»
Oltre allo sforzo dal basso, dei singoli individui, i due attivisti sono convinti che serva un impegno politico e che questo debba partire da un punto fermo: «I palestinesi devono essere riconosciuti come popolo – constata il padre di Gerico – Hanno diritto all’autodeterminazione, a un accordo di pace con Israele. Non con l’Arabia Saudita, non con gli stati arabi, non con il Canada o con l’Italia. Accogliamo con favore la tregua attuale. Speriamo che sia il primo passo verso una soluzione definitiva».