il colloquio

venerdì 13 Settembre, 2024

Reinhold Messner compie 80 anni: «Deluso dai miei figli. Morire scalando? È una possibilità»

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Il Re degli Ottomila si racconta: «Eredità? I miei genitori non lasciarono averi e restammo uniti. Oggi si confonde alpinismo e turismo»

«C’è chi pensa, ma francamente non capisco perché, che per me sia tutto facile, ma chi conosce la mia vita sa che io ho sempre fatto tutto controvento», racconta Reinhold Messner, ottant’anni il prossimo 17 settembre, nello spiegarci il titolo della sua autobiografia «La mia vita controvento» (Corbaccio) in libreria dal 3 settembre.
Le imprese, la politica e i musei
Alpinista, esploratore, scrittore, politico e pure filosofo: una vita avventurosa, da romanzo del vero tra tempeste nei ghiacci, gli ottomila himalayani (primo alpinista ad aver completato l’ascesa di tutti i quattordici Ottomila e ad essere salito in vetta all’Everest in solitaria e senza ossigeno), ma anche una vita che non gli ha risparmiato veleni, invidie e gratuite cattiverie nella tragedia del 1970 sul Nanga Parbat in cui perse la vita suo fratello Günther (c’era chi non gli credeva e insinuava odiosi sospetti, ma le cose andarono come aveva detto lui sin dall’inizio); una vita spesa nel suo impegno nella causa ambientalista, nella politica con i Verdi (si definisce «un verde liberale» scevro di dogmi; Alex Langer, Daniel Cohn Bendit, Joschka Fischer, Romano Prodi e Angela Merkel, i profili politici che lo hanno ispirato), nell’ambizioso progetto dei Musei della Montagna («Ho avuto la grande fortuna di aver trovato dopo la carriera di scalatore un nuovo obiettivo, quello dei Musei di Montagna, altrimenti ancora oggi rincorrerei queste sensazioni. Con i musei non rischio la vita, soltanto il fallimento economico», ha detto in una recente intervista).
«Io non ho ereditato nulla»
E poi gli amori, tre mogli, e gli affetti più cari fino alla recente dolorosa rottura con i figli a causa dell’eredità: «I miei figli mi hanno deluso, io non ho ereditato nulla dai miei genitori e ne sono felice, non c’era altro che rispetto e gratitudine. Eravamo una grande famiglia, molti fratelli e sorelle, e ci siamo presi cura dei nostri genitori anche in età avanzata. Nel momento in cui ho distribuito la mia eredità materiale ai figli e alla moglie, la famiglia si è spezzata. Avevo quasi 75 anni. La domanda su chi avesse ricevuto di più era in primo piano nelle discussioni», ha dichiarato senza peli sulla lingua, annunciando che il compleanno lo trascorrerà insieme alla moglie Diana, «solo noi due, in una piccola baita di montagna, a 2000 metri, per festeggiare».
«Difendo l’alpinismo tradizionale»
Una vita vera, insomma, piena, da vertigine, di un uomo franco, diretto e schietto, uno di quelli dalla schiena dritta che non fanno sconti a nessuno, e nemmeno a se stessi. Un uomo con le sue idee e le sue visioni, al quale non frega assolutamente nulla di piacere, ma al quale basta dire ciò che pensa per sentirsi a posto con la coscienza (e pazienza se qualcuno non è d’accordo e non apprezza), che a ottant’anni ci dice di essere in pace con se stesso, e che ok, è andata bene così e che anche dopo andrà bene così: «Io la mia vita l’ho vissuta radicalmente. Sono emozionalmente in accordo con ciò che verrà dopo, la conseguenza della vita, e cioè la morte; questo equilibrio l’ho trovato proprio nel coraggio di vivere la mia vita», spiega Messner che aggiunge: «La montagna, l’avventura, ti danno la possibilità di comprendere la relazione tra la natura e l’uomo. Dentro, noi abbiamo una legge che normalmente non comprendi, ma se ti esponi al massimo capisci chi sei».
La sua è la vita di un alpinista nell’accezione più pura del termine, come lui stesso esplicita: «Io seguo l’alpinismo tradizionale, nel senso di voler dare un senso all’alpinismo tradizionale nel futuro; l’alpinismo è cambiato tantissimo, oggi si fa un’ascesa sull’Everest che è turismo; si confonde il turismo con l’avventura. Quello che succede arrampicando, succede in una palestra, ma l’alpinismo tradizionale non deve morire», sottolinea.
«Morte in vetta, una possibilità»
Gli chiediamo allora quali siano le prerogative, i capisaldi dell’alpinismo tradizionale, quello al quale ha dedicato la sua vita «controvento»: «L’alpinista tradizionale va dove tutti gli altri non ci sono; va dove la morte è una possibilità, per non morire. Non morire sulle grandi ascensioni è un’arte che si basa sulla conoscenza dell’essere umano e della montagna. Se io escludo la possibilità di morire, preparandomi alla montagna come se fosse un oggetto da tenere sotto controllo, faccio un’altra cosa. Se non includo la possibilità di morire, la montagna non posso dire di conoscerla. La montagna è là, ed è pericolosa, noi non siamo nulla. Possiamo avere la fortuna di scalare una o due vette, ma non sempre va così; chi non è preparato bene a fare quello che fa, prima o poi la vita la perde. Per questo, sotto queste condizioni, io sostengo che sopravvivere è un’arte». Un’arte «controvento», naturalmente, come il titolo del suo libro: «Sì, è il titolo che meglio rispecchia la mia vita», ribadisce. Buon compleanno, unico e inimitabile Reinhold Messner.