La testimonianza
venerdì 11 Ottobre, 2024
di Johnny Gretter
Erano rimaste intrappolate per dieci giorni in un inferno di fuoco e bombardamenti. Poi un viaggio in taxi a rotta di collo le ha portate all’aeroporto di Beirut: adesso Karen e Aria, due studentesse libanesi iscritte a UniTrento, sono in salvo.
Sabato scorso hanno trovato un volo per Erevan, in Armenia. Ieri sono finalmente tornate in Italia su un ultimo aereo diretto a Venezia e in serata sono arrivate a Trento. Le due ragazze, che hanno doppia cittadinanza libanese e armena, erano tornate a Beirut ad agosto, in visita alle loro famiglie. Poco dopo sono iniziati gli attacchi israeliani in Libano.
Le studentesse sarebbero dovute tornare ancora il 27 settembre. Un volo che Karen e Aria non hanno mai preso: terrorizzate dalle bombe, hanno preferito aspettare che la via per l’aeroporto fosse più sicura. Uno spiraglio di speranza si è aperto quando i loro compagni di corso a Trento hanno dato il via a una raccolta fondi: una gara di solidarietà che in poco più di una settimana ha raccolto circa 1300 euro, che hanno permesso alle ragazze trovare un volo libero per Erevan, lontano dalla guerra. Raggiunta al telefono, Karen racconta la loro fuga da Beirut: ora sono in un posto sicuro ma lontano dalle famiglie, ancora bloccate tra le bombe.
Karen, può raccontarci come siete riuscite a tornare in Italia?
«Mercoledì scorso abbiamo finalmente ricevuto un aggiornamento dall’unica compagnia aerea rimasta attiva in Libano. Ci hanno spiegato che per via dei continui bombardamenti vicino all’aeroporto, molte persone avevano comprato più biglietti, in modo da scegliere di viaggiare nel giorno più sicuro. Avevamo chiesto un posto su qualsiasi volo per l’Italia o l’Armenia: ci hanno detto che erano riusciti a trovare due posti per Erevan. Siamo atterrate sabato scorso e siamo state alcuni giorni ospiti della sorella di Aria: siamo potute tornare a Trento solo ieri sera».
Come siete riuscite a raggiungere l’aeroporto, nonostante i bombardamenti?
«È stato un viaggio infernale: siamo arrivate poco dopo la fine di un attacco aereo, e le strade erano ancora piene di fumo. Eravamo entrambe a casa di Aria, in un paese a circa 40 minuti di viaggio dall’aeroporto. Da lì abbiamo chiamato un taxi: non ce la sentivamo di mettere in pericolo le nostre famiglie. Il tassista ci ha detto di chiudere gli occhi, così Aria è rimasta sdraiata sui sedili, senza guardare; io invece no. Anche lui doveva essere terrorizzato: continuavamo a chiedergli se la strada fosse pericolosa e lui ci diceva solo di pregare che non succedesse niente. Nonostante tutto è stato davvero un eroe: ci ha messo solo venti minuti ad arrivare a destinazione. All’aeroporto abbiamo incontrato una signora che come noi doveva partire per l’Armenia, e ci ha raccontato di aver speso 900 dollari per il biglietto. Ha dato via tutto quello che aveva pur di andarsene».
Quindi le bombe hanno continuato a colpire anche la strada per l’aeroporto.
«Sì, penso che sia un strategia deliberata per impedire alle persone di fuggire. Il nostro volo ha iniziato l’imbarco molto prima del previsto, e anche il decollo è stato velocissimo: il naso ha persino cominciato a sanguinarmi per il cambio di pressione. Due minuti dopo ho visto dal finestrino ho visto l’inizio di un nuovo bombardamento. Sono riuscita a fare alcune foto e dei video, ma ho sentito un forte senso di colpa a lasciare i miei cari, senza sapere quando sarei tornata. Non so davvero cosa dire. La notte mi sveglio ancora sentendo le notifiche del telefono, per controllare che non ci sia la segnalazione di un bombardamento vicino a casa mia. Ho paura per mia madre, non so se rimane aggiornata su queste segnalazioni».
Che ruolo ha giocato la raccolta fondi iniziata dai vostri amici dell’Università?
«Come avevo detto alcuni giorni fa, siamo rimaste davvero sorprese dal sostegno che abbiamo ricevuto, anche da persone che non conoscevamo. Grazie alla raccolta siamo riuscite a comprare i biglietti per tornare in Italia: i soldi rimasti li abbiamo donati a diverse Ong che operano in Libano e in Ucraina: Maryna, la ragazza che ha gestito la raccolta è di origine ucraina, ed era riuscita a fuggire da Kharkiv in modo simile. Ha voluto aiutarci così e ha pubblicato tutti gli aggiornamenti sulle donazioni sul suo profilo Instagram».
Come è evoluta la guerra dopo l’invasione israeliana, cominciata poco prima della vostra partenza?
«La situazione è diventata sempre più tragica. La distruzione cominciata solo nel quartiere meridionale di Beirut si è spostata ovunque. Adesso non vengono nemmeno più mandati messaggi di evacuazione oppure arrivano troppo tardi. Dopo quello che abbiamo visto a Gaza un anno fa ci siamo chiesti: come può succedere ancora tutto questo? Se rimaniamo in silenzio soffriranno molti altri innocenti. Le persone devono capireche anche i soldi delle loro finanziano questa violenza. Soldi che potrebbero essere spesi in educazione, salute, per migliorare le vite di tutti. Voglio chiedere al mondo non solo di guardare, ma di alzarsi, parlare, e chiedere un cessate il fuoco».
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