Nuove idee

giovedì 9 Marzo, 2023

«Riscoprire l’anima dei luoghi per diventarne custodi» da Fiavè è partita una nuova prospettiva di Ecologia

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Il racconto delle tappe del percorso

L’esperienza biennale del corso promosso da Archè di Riva del Garda nel 2021 dal titolo «Ecologia applicata e cura del noi» come prima iniziativa della neocostituita «UniUdt», è iniziata sabato 8 maggio 2021, in un luogo magico: Maso Pacomio, presso Fiavè. Luogo davvero speciale e ricco di storia e di segni di un passato che ancora parla con un linguaggio che accarezza l’anima.
Cos’è l’anima?
Ecco una parola anch’essa speciale, perché appare nel linguaggio più antico, quello greco, col significato di soffio, vento, che poi assume il più ampio concetto di spirito vitale, che tutto permea. Se manca il fiato, la Terra, Gaia, Ctoni (la profondità dell’oceano, prima della vegetazione e delle terre emerse, delle isole continentali), gli animali, le piante, l’uomo, non cammina, si ferma, muore… l’intero pianeta muore. Così comprendiamo quanto sia pervasivo il concetto di «anima mundi», termine filosofico usato dai platonici per indicare la vitalità della natura nella sua totalità, in quanto assimilata a un unico organismo vivente: noi ne siamo parte integrante, dentro noi stessi, fino appunto alla nostra anima. Vito Mancuso, nel trattare l’argomento nei suoi saggi, connette il termine anima a quello di animale, in quanto il soffio vitale rende vivo, animato, un organismo, per l’appunto vivente. Quello che anche la Bibbia definisce «il sussurro di una brezza leggera», dove può arrivare «una voce sottile, quasi silenzio» che strappa l’uomo dalla ragnatela e lo libera dalla caverna (Mancuso, La forza di essere migliori, p. 84).
I luoghi hanno un’anima?
Se rivolgiamo per un attimo lo sguardo verso la nostra finestra, spingendolo oltre l’orizzonte urbano, delle nostre città e paesi, ci osserviamo da un’altra angolatura, e osserviamo noi viventi in mezzo allo spazio che ci contiene, non possiamo che cogliere le sottili voci che ci provengono da quei luoghi. Certo occorre un po’ di silenzio, di quiete, nell’animo come nel contesto in cui siamo immersi, ma prima o poi, con un po’ di pazienza e di allenamento agli sguardi sottili, lo spirito del luogo, il Genius loci degli antichi ci colpirà, ci farà capire dove siamo, qual è il nostro rapporto col mondo e con gli altri esseri che lo popolano. Dove noi, da ospiti prima timidi e in esplorazione (come i grandi viaggiatori della preistoria, i cacciatori raccoglitori, i primitivi Sapiens), e poi via via come dominatori e infine custodi della Terra, siamo alla ricerca del nostro ruolo, della nostra anima vitale. È infatti nei luoghi che l’uomo sceglie per propria dimora che meglio può cogliere il sottile legame tra cosmo e sfera intima della propria identità. Nel suo libro-intervista «L’anima dei luoghi», in conversazione con l’architetto Carlo Truppi, James Hillman, filosofo junghiano americano, recupera l’antica nozione di una natura animata, che assorbe i pensieri e le tradizioni degli uomini che la abitano da secoli e millenni. Dal suo pensiero scaturisce il concetto che «tutto è vivo, tutto ci parla», in un dialogo sulla riscoperta del senso della bellezza che aiuta a cogliere la natura segreta dei luoghi, che integra insieme all’anima del mondo quella dell’uomo. Quindi, cogliere lo spirito del luogo è un po’ accoglierne l’identità, capirne il linguaggio, sforzarsi di uscire dalla nostra lingua madre per ascoltare anche altri linguaggi, altre istanze, per migliorare la nostra sintonia e comprensione del mondo. Sapendo così meglio come rapportarsi con esso, come agire concretamente per rispettarne sensibilità e potenzialità, senza stravolgere i delicati equilibri che sono sottesi a ogni organismo vivente sia animato dalla nostra coscienza di Sapiens: un fiore, una roccia, una stella (citando Leonardo: «Non puoi cogliere un fiore, senza turbare una stella»).
Un approccio empatico
Da tutto ciò discende una diretta conseguenza nell’agire umano sulla Terra: forse è il caso di avere un approccio che comprenda anche la dimensione empatica e spirituale, sia nei confronti delle persone che in essa vi abitano, sia nei confronti del sistema ambientale, paesaggistico ed ecologico che ci ospita. Secondo l’antichissima disciplina cinese del Feng-Shui (che studia proprio l’interazione delle opere dell’uomo con l’ambiente, naturale e non, per renderle più armoniche e fonte di benessere e salute), prima di agire va colto appieno lo «spirito del luogo», ovvero la sua anima: altrimenti anche la nostra anima diviene disarmonica, soffre, si ammala assieme al corpo che la contiene. Avere perciò un approccio empatico, cioè di ascolto e comprensione delle esigenze delle persone e dell’ambiente, vuol dire affidarsi non solo alla tecnica, ma cogliere lo spirito dei luoghi, ascoltandolo, leggendolo nelle linee di forza e di debolezza che definiscono il territorio, cogliendo opportunità e risolvendo problemi, interagendo con chi vive su di esso ogni giorno. Omettere, per fretta o trascuratezza, questa modalità espone la società, tutti noi, al rischio di sfigurare la nostra stessa identità, i nostri stessi luoghi dell’anima, cioè gli spazi, i paesaggi, i territori che abbiamo scelto come casa. Luoghi che abbiamo il compito di custodire, di trasformare con accortezza e sensibilità, senza trascurare le diverse identità materiali e immateriali che li popolano. Annibale Salsa, nel suo intervento su questa pagina il 24 febbraio, parla proprio di ciò: nell’interazione tra comunità umane e luoghi si stabiliscono continue relazioni e azioni che, se ben accorte, conferiscono un’anima al paesaggio. Quando non le si coglie, i luoghi, svuotati dalla loro anima, dallo spirito vitale, ci soffocano, ci possono far morire. Occorre allora maggiore cura e sensibilità per affrontare le grandi e piccole trasformazioni che il futuro pone davanti a noi, per agire nella nostra Terra Madre con passo leggero e accorto, dove le tracce che lasciamo al nostro passaggio non siano di maleficio ma di beneficio, per tutti.