La storia
venerdì 2 Agosto, 2024
di Sandro Schmid
Alfredo Gelmi è nato a Trento l’8 febbraio 1924. Un giovane bello, sportivo, campione triveneto di pugilato, grande nuotatore, si tuffava nel Fersina dal ponte per stupire le ragazze. A 18 anni si arruola in marina. Nel giugno 1942, sul cacciatorpediniere Aviere, partecipa alla grande battaglia aeronavale di Pantelleria contro un convoglio inglese diretto a Malta. Il 12 dicembre, di scorta a un convoglio italiano diretto in Africa, l’Aviere è spezzato in due da due siluri inglesi. In pochi minuti affonda. Su 220 uomini, un centinaio riesce a a trovare scampo su due piccole zattere stracolme. Il comandante Castrogiovanni (Medaglia d’Oro) lascia il suo posto a un marinaio e scompare in mare.
Il naufragio e il post 8 settembre
Il freddo intenso di dicembre, la nafta, le onde continuano a inghiottire quei giovani. Dopo 40 ore arrivano i soccorsi, i marinai superstiti sono una trentina. Fra questi Alfredo che aveva salvato fra le braccia un suo amico ferito. Dopo l’8 settembre 1943, Alfredo è a Trento. I tedeschi lo vogliono reclutare nel famigerato Cst agli ordini delle Ss. Alfredo protesta, lui è un marinaio, prende a pugni un militare nazista, che gli spara senza colpirlo. A questo punto Alfredo, con il suo amico del Cst Bruno De Gasperi, diserta. Una fugace visita alla sorella Liliana, che fa appena in tempo a urlargli «scappa!». Perché la casa era piantonata dai nazisti. Per questo Liliana, pur minorenne, subirà pesanti interrogatori e il carcere. Il padre Vittorio, vicebrigadiere dei Vigili del Fuoco, chiede di essere imprigionato lui al posto di Liliana. Ma tutto è inutile. Dopo un mese e mezzo, Liliana esce dal carcere. Alfredo la contatta e la mette al sicuro a Verona dalla sorella Gina.
L’esperienza partigiana e la cattura
Dei pochi mesi di esperienza partigiana di Alfredo e Bruno si sa poco. Da un rapporto del Comando militare del 2 agosto 45: i due erano partigiani con «la Valgrande» nella zona di Pallanza. Poi si sono spostati in Veneto. «“Liberazione Nazionale» del 28 settembre 1945, scrive che Alfredo Gelmi e Bruno De Gasperi, erano della Brigata Battisti che operava nella zona di San Donà di Piave–Mestre. Al suo comando l’ex tenente degli alpini, il cattolico Gino Sartor, protagonista di diversi audaci colpi di mano e sabotaggi. Alfredo incontra il suo amico marinaio dell’Aviere Girolamo Guasto di Agrigento e si festeggia. Traditi da tre collaboratrici fasciste, sono catturati dai repubblichini alla stazione di Venezia. De Gasperi nella valigia aveva una pistola. Girolamo, che aveva i documenti a posto, con un atto di generosità dirà che è la sua, ma sarà solo la sua condanna.
Luciano Gelmi, il fratello
Luciano Gelmi nato il 30 dicembre 1925, è comandato come ferroviere fuochista sulla linea della Valsugana. Sa che Alfredo è con i partigiani veneziani.
Dopo aver lavorato per tre giorni e tre notti, Luciano esce dalla stazione di Trento per raggiungere la famiglia. Un milite tedesco, con la pistola in pugno, gli ordina di ritornare in servizio. Luciano lo colpisce violentemente, gli strappa la pistola e fugge alla volta di Venezia per ricongiungersi con Alfredo. Sceso alla stazione di Mestre è subito arrestato dalle guardie fasciste. Alla Questura di Cà Littorio, incontra suo fratello Alfredo. Per intercessione del cappellano don Marcello d’Andrea sono messi nella stessa cella.
La rappresaglia e la fucilazione
Alle 5 del 28 luglio 1944, come rappresaglia all’attentato partigiano con la dinamite alla sede del Comando della Guardia Nazionale fascista a Cà Giustinian, sono fucilati 13 detenuti politici. Nella notte fra l’1 e il 2 agosto l’equipaggio tedesco di un cacciatorpediniere ormeggiato sulla Riva dell’Impero (Schiavoni) fa un’orgia. La sentinella sul molo scompare. I nazisti vanno su tutte le furie. Pensano che a ucciderlo siano stati i partigiani. Scatta subito la rappresaglia per altri 7 detenuti politici. Uno lo indicano loro: il veneziano di 46 anni ex operaio della Breda Alfredo Vivian «Dante», già combattente internazionalista in Spagna e poi comandante partigiano nella zona del Piave. Catturato nel gennaio 1944 è orribilmente torturato, i piedi bruciati. Gli altri 6 sono indicati dai fascisti: Aliprando Armellini «Franco» partigiano piemontese di 23 anni; Gino Conte veneto capo della Resistenza nella sua zona di Cavarzerano di 46 anni; il marinaio Girolamo Guasto di 25 anni; Bruno De Gasperi di 20 anni; Alfredo Gelmi di 20 anni e, il più giovane, suo fratello Luciano di 19 anni.
L’esecuzione
Giovedì 3 agosto 1944. All’alba un’imponente formazione militare nazifascista, circonda il rione di via Garibaldi. Cinquecento uomini vengono radunati e tenuti con la faccia al muro della Riva per due ore sotto la minaccia dei mitra e delle mitragliatrici. Verso le ore 5, i 7 partigiani arrivano incatenati a bordo di un’imbarcazione. Il cappellano don Marcello, dà loro la comunione, rifiutata solo da Vivian, e un bacio al crocefisso. Una sigaretta. Poi i prigionieri sono legati con le braccia distese a croce ad una corda appesa fra due pali. Le loro spalle rivolte alla Laguna. I 500 cittadini vengono fatti girare per assistere all’esecuzione. 150 di loro sono selezionati per essere trasportati come ostaggi in attesa delle ulteriori decisioni del Comando tedesco. La gente, allibita, sbircia anche dalle finestre delle case. Don Marcello al padre dei fratelli Gelmi dirà: «I due fratelli erano legati vicini. Luciano mormora, mi sento svenire, Alfredo gli dice metti la testa sulla mia spalla». Alle 6 il plotone d’esecuzione è pronto. Vivian grida «W l’Italia libera», gli fa eco un altro grido «Vendicateci». L’ufficiale tedesco ordina: «Feuer!». La scarica colpisce anche la corda. Le vittime stramazzano al suolo. Un colpo di pistola alla testa li finisce. E ancora un altro colpo contro gli agonizzanti. A dei ragazzini è ordinato di pulire il selciato dai grumi di sangue e materia cerebrale con scope e secchi d’acqua.
Il giorno dopo sarà ripescata la sentinella tedesca. Nessun segno d’aggressione: caduto in mare per ubriachezza. Ma è troppo tardi. Oggi, sulla Riva dei 7 Martiri, una targa li ricorda. Da noi, sono stati per troppi anni dimenticati. Trento, città Medaglia d’Oro per la Resistenza, non pensa di dedicare loro una strada o una piazza?
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