Il report
domenica 29 Ottobre, 2023
di Margherita Montanari
L’inflazione impoverisce i lavoratori trentini più dei lavoratori del resto del Nord Italia e più di chi è occupato in provincia di Bolzano. Dall’analisi delle buste paga dei dipendenti del settore privato nelle varie province italiane, effettuata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, emerge che il reddito medio annuo a Trento è ancora al di sotto della media nazionale e di oltre 2.700 euro inferiore rispetto a quello di una persona che lavora in Alto Adige. Retribuzioni più basse che, in tempi in cui tira aria di crisi – tra carrello della spesa sempre più caro, tassi d’interesse alti e il generale aumento dei prezzi – rischiano di lasciare alle famiglie trentine giusto il necessario per effettuare quelle spese non rinviabili che l’inflazione ha reso più onerose. Questo vale per tutte le province. Come nota Istat, infatti, «nonostante la decelerazione dell’inflazione, nei primi nove mesi dell’anno la distanza tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali supera ancora i cinque punti percentuali».
Dove si guadagna di più
Dall’analisi provinciale delle retribuzioni medie lorde pagate ai lavoratori dipendenti del settore privato emerge che Milano è stata la realtà con gli stipendi più elevati: 31.202 euro. Seguono Parma con 25.912 euro, Bologna con 25.797 euro, Modena con 25.722 euro e Reggio Emilia con 25.566 euro. Qui, la concentrazione di settori ad alta produttività e a elevato valore aggiunto ha garantito alle maestranze di questi territori buste paga molto pesanti. Trento è nella parte bassa della classifica, al 41esimo posto. È tra le province con redditi ancora sotto la media nazionale. Con un reddito medio di 20.738 euro. Significa che una persona che lavora in Trentino guadagna mediamente 1.130 euro in meno (-5,2%) rispetto a chi è occupato in altre province. Nel Nord est fanno peggio solo Venezia, Ferrara e Rovigo. E sotto la media nazionale, appena prima del Trentino, ci sono Belluno, Gorizia e Forlì-Cesena. L’analisi dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre fa riferimento ai dati Inps, ricavati dall’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi operai agricoli e lavoratori domestici. Tiene conto di coloro che sono stati retribuiti, nel 2021, con almeno una giornata di lavoro. Individua perciò la maggioranza dei dipendenti dell’industria, del commercio, del turismo e dei servizi. Ambiti che offrono la maggior parte dei posti di lavoro in Trentino.
Bolzano avanti
Qualcosa i dati dicono anche delle differenze reddito da lavoro tra le province di Trento e Bolzano. La retribuzione media annua a Bolzano – diciottesima città nella classifica italiana delle province – è di 23.444 euro, superiore di 1.576 euro rispetto alla media nazionale (+7,2%). Il confronto è presto fatto: il valore è superiore di 2.706 euro rispetto a Trento. Un gap dell’11,6%. Certo, lo scarto delle retribuzioni non è eclatante come quello tra i lavoratori della Città Metropolitana di Milano (31.202 euro) e di Palermo (16.349 euro), con un gap del 90%. Ma i dati indicano comunque che, in media, le persone che lavorano in Alto Adige guadagnano di più rispetto a quelle del Trentino. Una differenza influenzata da vari fattori, tra cui le condizioni economiche locali, il costo della vita e le opportunità di lavoro nelle rispettive province.
Nodo contratti collettivi
Second la Cgia, l’applicazione del contratto collettivo nazionale del lavoro, scelta per affrontare la questione salariale, «ha prodotto solo in parte gli effetti sperati». In Trentino la copertura è ottima. Di contratti di secondo livello ce ne sono addirittura 169, di cui 148 aziendali e 21 territoriali. Ma non è abbastanza da affrontare il tema dei salari bloccati.
La questione salariale
Cgil, Cisl e Uil del Trentino hanno indicato come priorità per la prossima legislatura provinciale la questione salariale e alla luce degli ultimi dati lo ribadiscono. «Oggi le condizioni salariali delle lavoratrici e dei lavoratori trentini sono aggravate da un caro vita che in questi due anni ha ridotto di due mensilità la capacità di spesa delle famiglie – scrive Andrea Grosselli (Cgil) – E il rischio di entrare in recessione, con la cassa integrazione che taglia ulteriormente i salari, non fa che aumentare le preoccupazioni per il futuro. Ormai quella delle retribuzioni è una vera e propria emergenza economica e sociale»
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