Il caso

giovedì 24 Agosto, 2023

Salute mentale, lettera aperta di 92 professionisti: «Non siamo garanti dell’ordine pubblico»

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Dopo l'omicidio di Iris Setti, un gruppo di professionisti del settore psichiatrico, tra cui 24 psichiatri e 17 tecnici della riabilitazione psichiatrica, hanno sottoscritto una lettera aperta per rendere nota la loro posizione

«Non siamo garanti dell’ordine pubblico. Non si può pensare che un Tso (trattamento sanitario obbligatorio) o la riapertura di strutture simil-manicomiali (più volte candeggiata da qualcuno) possano essere la panacea di tutti i mali. Il problema è molto complesso e , come tale, merita una risposta altrettanto articolata». In una lunga lettera pubblica i professionisti dei reparti trentini di psichiatria prendono posizione nel dibattito generato dalla morte di Iris Setti, l’ex segretaria di banca, di 61 anni, uccisa lo scorso 5 agosto in un parco pubblico di Rovereto. Ammazzata a mani nude da Nweke Chukwuka, una persona senza fissa dimora, di 37 anni, di origine nigeriana, già nota alle forze dell’ordine e con dipendenze da alcol e droga.

La lettera è stata scritta da un gruppo da un gruppo di professionisti delle Unità operative di psichiatria del Dipartimento transmurale Salute Mentale dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari. E sottoscritta da 92 operatori: 24 psichiatri, 17 tecnici della riabilitazione psichiatrica, 16 infermieri, 16 educatori professionali, 4 operatori, 1 operatore socio-sanitario (Oss), 12 esperti in supporto tra pari, 2 membri del gruppo di progettazione partecipata.
Nelle conclusioni si parla della necessità di una «risposta corale». «Il nostro lavoro — affermano — ci ricorda ogni giorno l’importanza di fare rete tra servizi e tra persone». I firmatari propongono di costituire un tavolo in grado di far dialogare tutti gli attori in gioco. «Per questo — proseguono — proponiamo che i servizi (sanitari e sociali), le istituzioni, l’associazionismo, i rappresentanti dei cittadini possano sedersi tutti allo stesso tavolo per dialogare tra loro, approcciare il problema a 360 gradi ed individuare soluzioni concrete, efficaci e condivise».
«Non siamo deus ex machina»
Prima di arrivare alla proposta, però, i professionisti hanno voluto fare alcune puntualizzazioni. Dicendo sostanzialmente che la psichiatria non è la soluzione a tutti i mali: «È ormai sentore comune di gran parte degli operatori e delle operatrici della Salute Mentale (non solo trentina) che vi sia la tendenza generale a vedere nella Psichiatria il deus ex machina da invocare ogniqualvolta accada intorno a noi qualcosa di sgradevole, qualcosa di inconcepibile, qualcosa che tutti noi preferiremmo non vedere e quindi rimuovere dalla nostra società».
«Per fortuna c’è la legge Basaglia»
Allo stesso tempo i firmatari replicano a chi nelle ultime settimane ha invocato la riapertura dei manicomi. «Fortunatamente, grazie alla Legge Basaglia del 1978 che ha decretato la chiusura dei manicomi in quanto luoghi di morte civile oltre che fisica, è stata superata quella visione che vedeva nello psichiatra il “controllore” dei suoi pazienti, per lasciare posto ad una Psichiatria di comunità che mette la persona al centro del suo percorso di cura con l’obiettivo di creare un’alleanza positiva e sinergica tra professionisti, utenti e familiari degli utenti. Questa — aggiungono — è la Psichiatria che ci piace e che abbiamo scelto di praticare per passione e per vocazione, oltre ad essere l’approccio che nel tempo si è dimostrato senza dubbio vincente nel dare una risposta efficace e soddisfacente a tutte quelle persone che convivono con qualche forma di disagio psichico».
«Spaventati per la nuova deriva»
Nella lettera si fa riferimento anche a un’altra tendenza, quella di guardare ai Servizi di salute mentale come ad una sorta di antidoto ai reati. «Tuttavia, da un po’ di tempo a questa parte, siamo molto preoccupati per la nuova deriva che si sta diffondendo nella società e in gran parte delle istituzioni per cui ci si aspetterebbe che i Servizi di Salute Mentale si facessero garanti dell’ordine pubblico, prevedendo, prevenendo e contenendo il compiersi di eventuali reati tutte le volte in cui si ipotizzi una minaccia in tal senso — considerano — Del resto, in una società dove l’esistenza del male, della sofferenza e finanche della morte è considerata un grande tabù, comprendiamo come sia più semplice e rassicurante immaginare che alla base di ogni atto violento e criminale ci sia una patologia psichiatrica che lo giustifichi. Infatti, se il male è causato da una patologia, basta curare la patologia per evitare che il male si compia».
«Non basta un Tso»
A questo punto gli psichiatri invitano a guardare le cose da un altro punto di vista. «Per quanto non sia facile da accettare, dobbiamo però dirci con onestà che le cose non stanno così — osservano — Fino a prova contraria, le persone sono libere di scegliere, anche di compiere il male, e va loro restituita la responsabilità delle proprie azioni. Se non accettiamo questo, si corre il rischio (purtroppo già realtà) di delegare in toto ai Servizi di Salute Mentale la gestione di problemi che non possono trovare soluzioni unicamente nella Psichiatria. Non si può pensare infatti che un TSO o la riapertura di strutture simil-manicomiali (più volte caldeggiata da qualcuno) possano essere la panacea di tutti i mali. Il problema è molto complesso e, come tale, merita una risposta altrettanto articolata».
«Nweke viveva nel disagio sociale»
Si arriva così ad affrontare l’omicidio di Iris Setti. «Nel caso specifico dell’efferato delitto avvenuto il 5 agosto, sarà necessario acquisire maggiori informazioni per comprendere appieno cosa sia accaduto quella notte e se effettivamente si sarebbe potuto fare qualcosa per evitarlo. Quello che è certo, però, è che l’autore del reato viveva una innegabile condizione di forte disagio sociale e, con tutta probabilità, esistenziale, dal momento che si trovava in un paese straniero, senza fissa dimora, senza lavoro, separato da moglie e figli collocati altrove — sottolineano — Se partiamo dal presupposto che, non tutti, ma molti dei reati maturano all’interno di contesti di grande disagio sociale, di povertà a tutti i livelli, di alienazione che genera devianza, una delle risposte per provare a contenere la criminalità che da essi scaturisce è quella di agire su questi contesti per modificarli e ridurre in tal modo i rischi di potenziali degenerazioni».
In sostanza, «siamo convinti che l’intervento di tutti sia imprescindibile».

Per chi volesse leggere la lettera integrale la può trovare a questo link