sanità
domenica 12 Novembre, 2023
di Ambra Visentin
L’obiettivo era quello di ottenere una fotografia «neutra» della situazione delle liste d’attesa in Italia. Ne è risultato, però, un quadro «tutt’altro che completo». Non solo, come sottolinea il dirigente dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari Antonio Ferro «i dati sono in realtà sostanzialmente positivi e andrebbe ricordato che il Trentino, assieme alla Toscana e all’Emilia, è fra le regioni che hanno recuperato i volumi di attività pre Covid».
Solo cinque regioni (e province) italiane hanno partecipato all’indagine di Agenas, fornendo tutti i dati. L’agenzia nazionale per i servizi sanitari nazionali, assieme alla Fondazione The Bridge ha provato un nuovo sistema per mettere a confronto i dati regionali. Per farlo è stata presa a campione la settimana tra il 22 e il 26 maggio. Dai dati forniti dall’Apss trentina emergerebbero alcune criticità, in particolare per quanto riguarda gli esami radiologici Tac con codice di urgenza «B»: solo 4 prestazioni su 10 avvengono nei tempi previsti e la mediana dei giorni di attesa è di 41 giorni. Alcune difficoltà nelle tempistiche sono state riscontrate anche negli esami diagnostici di cardiologia e ortopedia.
Più positivi, invece, i risultati riguardanti il recupero dell’erogazione delle prestazioni in confronto con i primi mesi del 2022, sia sulle prime visite (+7,5%), sia per gli esami (+4,9%).
Il direttore dell’Apss fa il punto sulle misure attuate per far fronte alle difficoltà delle liste d’attesa e sul terreno che è già stato recuperato in questi ultimi anni.
Direttore, il quadro descritto dall’indagine è fedele alla situazione?
«Innanzitutto vorrei evidenziare che si tratta di una sperimentazione che era stato chiesto di fare per un confronto nazionale, ma solo 5 regioni su 21 hanno risposto. Noi abbiamo partecipato, ma la Provincia di Bolzano, ad esempio, così come regioni quali la Lombardia, non hanno fatto altrettanto. In secondo luogo i dati sono sostanzialmente positivi».
Ci sono, quindi, lacune o imprecisioni nell’indagine?
«Su Rao D (codice di urgenza della prestazione che prevede la visita specialistica entro 30 giorni dalla prescrizione, ndr) c’è sì la questione dei 30 giorni, ma non viene specificato quanti giorni sono trascorsi, scaduto il termine previsto. E si tratta di una decina di giorni, non di mesi. Inoltre, il Trentino è fra le regioni, assieme alla Toscana e all’Emilia, che hanno recuperato di più sull’attività sanitaria. I volumi del 2023 sono infatti analoghi a quelli del 2019».
La rappresentazione della sanità trentina è inesatta?
«Il dato va correlato al dato sostanziale della vita media. La longevità dei cittadini è maggiore nella nostra provincia e questo proprio grazie al tipo di sanità che viene garantita. Quello che è stato scritto in seguito all’uscita dell’indagine, poi, non tiene conto dei tanti operatori sanitari che fanno molta fatica e che svolgono un lavoro importante per la salute delle persone».
Qual è il quadro reale?
«Gli esami radiologici sono effettivamente in crisi e nemmeno il settore privato riesce più di tanto a darci una mano, proprio perché manca personale».
Ci sono altri fattori che incidono sul generale «rallentamento» nelle diagnosi di radiologia?
«Diversamente da quanto accade per gli specialisti di medicina interna, gli anestesisti e i radiologi non possono “refertare” autonomamente fino al termine della specializzazione. La normativa nazionale su questo è molto chiara. Occorre razionalizzare e sperare al più presto di poter sfruttare le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, che potrà effettuare dei pre-referti e incidere in misura importante sulla diagnostica».
Nella gestione della diagnostica riscontra altre criticità?
«C’è il problema dell’inappropriatezza. Tanti esami causano malasanità perché il cittadino non rispetta il processo complessivo segnalato dai radiologi. Il paziente talvolta spinge per l’accesso ad un esame di imaging prima ancora della visita dello specialista, che dovrebbe accertarne l’effettiva esigenza. Ad esempio, accade che un cittadino chieda insistentemente di effettuare una risonanza prima della visita ortopedica».
Qual è lo scenario di partenza ideale per risolvere le attuali problematiche?
«Non ci sono formule magiche. Ritengo che l’assessora Stefania Segnana abbia messo in piedi, in termine di misure, il massimo che si potesse fare. Parlo dell’aumento delle borse di studio, dell’inizio della scuola per i tecnici di radiologia e della detassazione per i privati del 25%, o ancora dell’inserimento della clausula che prevede il ristoro del ticket per i cittadini che sono costretti a fare gli esami in ritardo».
Cos’altro andrebbe fatto?
«È necessario un lavoro culturale sulla popolazione per aumentare il livello di appropriatezza (prestazionale, ndr)».
L’Azienda sanitaria come si sta muovendo?
«Stiamo già lavorando nei distretti, creando delle reti per ogni disciplina. Attraverso queste reti vengono anche elaborati protocolli e verificato che ci sia efficienza nella gestione della diagnostica. In questo modo si riesce a capire se ci sono esami che sono stati fatti in più e che non hanno avuto un ritorno a livello sanitario».
Nell’indagine si parla anche di ritardi negli esami di cardiologia. A cosa sono dovuti?
«Una volta c’erano i cosiddetti medici “sumaisti”, ovvero gli specialisti ambulatoriali che erano presenti in tutte le specialità e che non facevano parte della vita del reparto, bensì aiutavano facendo visite ambulatoriali. Queste figure sono venute meno in tutta Italia ed è difficile trovarle».
Perché?
«Lo specialista vuole stare in reparto e, considerato già il monte ore di servizio, è difficile che si presti alle visite ambulatoriali. In questo momento nemmeno un trattamento economico migliore potrebbe cambiare la situazione».
Come si può intervenire?
«La cosa più sensata è lavorare ad un’idea di ospedale diffuso e di portare avanti lo sviluppo territoriale. C’è anche un’idea di digitalizzazione. La cardiologia è una branca in cui la telemedicina potrebbe rivelarsi vincente e stiamo ragionando su questo tema con Maurizio Del Greco (Direttore presso l’unità operativa di cardiologia di Rovereto, ndr) e Roberto Bonmassari (Direttore dell’unità di Trento, ndr), perché le patologie cardiovascolari stanno diventando al pari dei tumori quanto a livelli di mortalità».
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