L'intervista
giovedì 12 Settembre, 2024
di Francesco Barana
Jannik Sinner, Massimo Sartori l’ha visto tennisticamente nascere. Lo storico coach di Andreas Seppi, oggi di Giulio Zeppieri e Marco Cecchinato, lo scovò appena adolescente nel novembre del 2014 durante un allenamento al Challenger di Ortisei. Glielo aveva segnalato Alex Vittur, da sempre manager di Sinner, ma ex allievo di Sartori a Caldaro, in Alto Adige. In quella nidiata, la cui star ovviamente era Seppi, c’era anche il coach del numero uno del mondo Simone Vagnozzi. Dopo quell’allenamento Sartori decise di portare Sinner a Bordighera, per farlo crescere all’accademia di Riccardo Piatti, col quale allora collaborava. Fino al 2019 Max ha allenato e seguito Jannik nei primi passi nel tour Atp.
Sartori, sono trascorsi quasi dieci anni da quando a Ortisei scoprì Sinner, che domenica ha conquistato il suo secondo Slam all’Us Open ed è sempre più re del tennis mondiale. Lei nel 2019 aveva profetizzato: «A 22-23 anni sarà pronto a vincere Slam e a diventare numero 1»…
«Diciamo che non ho sbagliato (Sartori sorride, ndr). Jannik non solo era un predestinato, ma aveva una naturale predisposizione al lavoro e all’apprendimento. E adesso, a 23 anni da poco compiuti, ha raggiunto la piena maturazione e si è consacrato, sebbene lui sia il primo a sapere che può ulteriormente migliorare».
Domenica dopo il trionfo a New York cos’ha pensato?
«Mi sono emozionato, perché ho ripensato a tutto il percorso di questo ragazzo, che è partito da un paesino dell’Alto Adige, una terra a me cara e in cui ho vissuto a lungo. So cosa significa e mi rendo conto dei sacrifici che Jannik ha fatto. Ho ripensato a quando andammo a casa dei genitori per parlare del trasferimento a Bordighera. Ho rivisto i volti di suo papà e sua mamma, persone che lo hanno sempre lasciato libero, già a 13 anni. Le confido che questo è un aspetto che mi fa spesso riflettere in quanto sono pure io padre. Ecco la libertà di decidere è sempre stata un’attitudine speciale di Jannik. Ce n’è poi un’altra…».
Quale?
«Jannik è intelligente. Ho detto intelligente, non furbo. Ecco, in un mondo dove purtroppo molti scambiano l’intelligenza con la furbizia, lui sa distinguere molto bene i due aspetti. Prenda la dedica alla zia malata…».
Ha fatto il giro del mondo, Jannik era commosso…
«Jannik ha sempre saputo distinguere il tennis dalla vita fuori. In un ambiente autoreferenziale e competitivo come il nostro non è un aspetto scontato. Questo gli permette di andare in campo generalmente calmo e di gestire con equilibrio anche l’eventuale sconfitta. Sa che è importante una partita di tennis, ma che fuori c’è dell’altro che lo è di più. Sa che una partita comunque la puoi controllare, nel senso che se ti alleni bene e hai dato tutto anche se perdi non avrai rimpianti, mentre la vita non è sempre così».
È il numero 1, tutti sono concordi nel dire che è il più bravo in continuità, eppure c’è chi sostiene che Alcaraz nella singola partita rimane leggermente più forte…
«Non sono d’accordo, nello scontro diretto partono perfettamente alla pari…».
Del resto in semifinale al Roland Garros, sulla terra rossa, non la sua superficie preferita, un Sinner in condizioni non ottimali ha perso solo al quinto dopo che era stato a lungo avanti. Pochi lo ricordano, ma qualcosa vorrà pur dire…
«Appunto. Aggiungo: Alcaraz soffre Sinner perché sa che, se sono entrambi al 100%, l’unico che può metterlo in crisi è proprio Jannik. Il fatto è che il ritmo di gioco che ha Jannik non lo ha nessuno. Alcaraz soffre questo ritmo, perché non gli permette di fare il suo gioco e preparare al meglio i suoi colpi. Sinner al top contro Alcaraz comanderà sempre la partita sul piano dello scambio, poi ovviamente questo non significa automaticamente vincere».
Il tennis sarà un loro duopolio nei prossimi anni?
«Credo di sì, è facile anche prevederlo. Tutti gli altri hanno una marcia in meno, da Medvedev a Zverev, ma anche lo stesso Djokovic a 37 anni. Immagino e mi auguro molte finali Slam tra loro due, a volte vincerà l’uno, a volte l’altro. Entrambi sono ragazzi che meritano tutto quello che stanno vivendo».
Lei Vagnozzi lo conosce bene, avendolo allenato. Quanto ha inciso?
«Molto, pur tenendo presente che il primo artefice di se stesso è sempre Jannik. Ma Vagno è un grande allenatore, tecnicamente e tatticamente lo era già prima di Sinner, nel frattempo però ha maturato un bagaglio di esperienza enorme, che aiuterà a sua volta Jannik. Vagno infatti è quello che lo vede e lo accompagna tutti i giorni: ormai si capiscono con uno sguardo».
A 23 anni Sinner ha già raggiunto tutti i suoi sogni di ragazzino. Qual è la ricetta per durare a lungo a questi livelli come Federer, Nadal e Djokovic, che sono comunque l’eccezione e non la regola?
«Mentalmente dovrà essere bravo Jannik a darsi sempre nuovi stimoli e nuove sfide. Sul piano fisico sarà determinante giocare meno privilegiando i grandi tornei, in modo da avere meno usura ed essere più fresco. È fondamentale la programmazione e in questo credo che la figura di Darren Cahill sarà centrale per lui in futuro».
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