L'intervista
martedì 28 Novembre, 2023
di Francesco Barana
Ci sono destini che si incrociano, altri solo che si sfiorano. A Massimo Sartori, 56 anni, maestro e allenatore di tennis, coach storico di Andreas Seppi, oggi di Marco Cecchinato, la vita sportiva finora ha dato tanto, ma tolto anche qualcosa. La Coppa Davis, per esempio, ai tempi di Seppi, in cui Sartori era vicecapitano della Nazionale, non è mai arrivata. Eppure, il trionfo italiano di domenica sera a Malaga, restituisce qualcosa anche al maestro di Vicenza, altoatesino adottivo. Sartori, infatti, è l’uomo che ha scoperto Jannik Sinner («Ho ancora segnati data e luogo, 8 novembre 2014, Ortisei», ricorda) e avviato al tennis Alex Vittur e Simone Vagnozzi, rispettivamente manager e coach del numero 4 del mondo. Sartori si schermisce, però ammette: «Quando ho visto l’Italia alzare l’Insalatiera mi sono emozionato».
La sente un po’ anche sua, Sartori?
«Credo che sia anche un po’ di tutti noi che per vent’anni abbiamo lavorato come allenatori di tennisti della Nazionale, o nello staff della federazione. Abbiamo gettato le basi di questi risultati. Infatti sono felice particolarmente per Simone Bolelli, che fa parte della squadra che ha alzato la Coppa. È un amico e si meritava questa gioia per tutto quello che ha dimostrato in questi anni».
Da vicecapitano dell’Italia e allenatore di Seppi lei arrivò in semifinale nel 2014, quando fummo eliminati 3-2 dalla Svizzera di Federer…
«Avevamo Seppi e Fognini, ma non la qualità generale e la profondità di scelte che c’è nella squadra di oggi. L’Italia ha vinto con Sinner, potendo lasciare fuori Musetti e con Berrettini infortunato. Sono contento per Arnaldi, che a inizio anno era 160 del mondo e nel giro di pochi mesi si è ritrovato a disputare una finale. Questo dà l’idea della forza del gruppo azzurro. Del resto le parole più significative e vere le ha pronunciate proprio Sinner».
Che ha ringraziato i compagni per aver portato l’Italia alle finali di Malaga, lui infatti aveva saltato la penultima fase a Bologna, a settembre…
«Jannik ha trascinato l’Italia, che però è talmente forte che si è potuta permettere di non avere Sinner a Bologna, dove ha vinto anche se soffrendo. Ai tempi miei e di Seppi non sarebbe stato possibile. Oggi peraltro abbiamo giocatori intercambiabili, che si tratti di singolare e doppio. Non a caso a Malaga l’unico vero nostro doppista, Bolelli, non ha mai giocato».
Sinner si è scoperto anche bravissimo nella specialità…
«Sia lui che Sonego, ma anche Musetti e Berrettini quando tornerà, possono giocare bene anche il doppio. Certo, Sinner non finisce mai di sorprendermi…».
Lei mi parlava di questo ragazzo ancora quattro anni fa. Si sorprende proprio lei?
«Ma ha visto come rispondeva nel doppio? Io non ho mai visto in vita mia un giocatore rispondere così in un doppio. E sì che per vent’anni ho girato il circuito e ho visto il meglio del tennis».
Cosa ricorda di quell’8 novembre 2014 quando a Ortisei vide Sinner per la prima volta?
«Me lo aveva segnalato Vittur. Con Seppi eravamo impegnati al Challenger di Ortisei e quel pomeriggio volevo far allenare Andreas proprio con questo ragazzino con i capelli rossi. Andy però si senti male poco prima dell’allenamento e così andai in campo io. Jannik aveva appena 13 anni, io ero ancora un 46enne in piena forma che insegna tennis da quando ne ha 20. Be’, mi mise in difficoltà, non ho mai sudato così tanto in vita mia».
Cosa accadde dopo?
«Lo segnalai a Riccardo Piatti, allora lavoravo con lui nell’accademia di Bordighera. Poi parlai con i genitori di Jannik, il ragazzo doveva lasciare casa per coltivare il suo enorme talento. Sono molto contento oggi di vederlo a questi livelli e di vedere un ragazzo ora consapevole di essere tra i più forti».
Dove può arrivare?
«Ha tutto per diventare numero uno del mondo ed essere competitivo per i grandi tornei, Slam e Master 1000. Lui, Alcaraz e Djokovic sono i più forti, tutti gli altri li metto un gradino sotto».
Nel 2024 sarà una questione tra loro tre?
«Sì. Anche Rune e Zverev hanno grandi qualità, ma sono meno continui, pure Medvedev qualcosa concede. Sinner, Alcaraz e Djokovic nei grandi appuntamenti non sbagliano mai. Jannik però rispetto gli altri due ha un vantaggio».
Quale?
«Ha battuto Djokovic due volte su tre in 12 giorni, tra Finals e Davis, partite vere, che contano. Questo è un patrimonio che lui che metterà a frutto nella prossima stagione. Inoltre Nole nel 2024 avrà 37 anni e questo qualcosa inciderà».
Mentre Alcaraz?
«Alcaraz è fortissimo, ma psicologicamente teme Sinner. Sinner invece non teme Alcaraz».
La Coppa Davis appena vinta gli darà quel quid in più?
«Con quel trofeo Sinner si è radicato come personaggio di massa, che va al di là del tennis. La Coppa Davis dà emozioni, lustro, maturità. L’Italia ha una squadra fortissima e ha Sinner: è legittimo pensare che possa rivincerla nei prossimi anni».
Quindi la Davis, spesso bistrattata a parole, conta ancora?
«Eccome. Ricordo cosa disse Federer appena vinse con la Svizzera proprio nel 2014, l’anno della semifinale contro di noi: “Scusate il ritardo”. Parole che spiegano meglio di tutte che per qualsiasi giocatore vincere la Coppa Davis è qualcosa di enorme».