Il processo

sabato 1 Giugno, 2024

Scelgono il parto in casa anche se i medici lo sconsigliano: la bimba ha gravi danni, la pm ha chiesto pene fino a 9 mesi

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Ai 4 l’avvocato della minore, parte civile, ha chiesto una prima trance di risarcimento di almeno un milione di euro

La pm Alessandra Liverani ne è convinta: le lesioni colpose gravissime, «insanabili», riportate da una bimba nata nel settembre 2017 con un parto podalico avvenuto in casa a Trento, «sono legate al comportamento dei genitori e delle due ostetriche». Che per questo vanno condannati, a pene da tre a nove mesi. Ma per la sentenza bisognerà attendere l’udienza di luglio. Mamma e papà in particolare, pur avendo deciso per il parto in casa «nonostante ogni contraria indicazione dei medici» che gli avevano messi a conoscenza dei rischi, avevano comunque «la possibilità di impedire l’evento» andando in ospedale, «anche in un punto avanzato del travaglio (durato dieci ore ndr)». Così «non si sarebbero verificati i gravi danni che persisteranno sempre» per la bimba, le parole della pm nella su articolata requisitoria. Le due professioniste invece, sempre secondo la pubblica accusa, «dovevano», o meglio «avevano l’obbligo di chiamare i soccorsi anche se non ci fosse stata la volontà (ma questo non è stato provato) dei genitori». La telefonata al 112 c’era stata sì, ma «a distanza di 15 minuti dal parto avvenuto». Allora erano stati informati i soccorritori che la bimba aveva sì battito ma non respirava. Al loro arrivo in casa la neonata, trovata in braccio alla madre, era cianotica e in ipotermia: in arresto respiratorio e cardiaco. «Non erano in atto manovre da parte delle due ostetriche, per quanto la bimba andasse rianimata continuativamente — ancora la pm Liverani — la mancanza di manovre era eclatante stando al medico, e c’è incertezza che queste siano state prestate fin da subito».
Le richieste di pena e danni
Per la Procura è provato il nesso causale, il fatto che i danni «insanabili» alla bimba si siano verificati «quando si apprestava a nascere». Di qui la richiesta di condanna davanti al giudice Greta Mancini: rispettivamente a tre mesi per ciascun genitore, a sei e nove mesi di reclusione invece per le due professioniste. La richiesta di pena più alta è stata per l’ostetrica che deve rispondere anche dell’ipotesi di falso in atto pubblico, per aver alterato la cartella ostetrica, «modificando orari (del parto, della chiamata al 112, della rianimazione…)». Questo, è la tesi accusatoria, «per comportare una minore gravità del loro comportamento», quindi delle professioniste.
Ancora nessun risarcimento
Per tutti la titolare dell’inchiesta ha sollecitato la sospensione condizionale della pena. Sospensione, questa, che Cristina Luzzani, avvocata di parte civile (e cioè della collega Marina March, curatrice della minore) ha chiesto sia subordinata al pagamento di un risarcimento che in sette anni non c’è mai stato. Sollecitando al contempo una provvisionale, quindi una prima trance di risarcimento, «di almeno un milione di euro», che dovranno essere pagati in solido dai quattro imputati. Per la quantificazione complessiva del danno biologico, di quello patrimoniale e morale, Luzzani si è rimessa al giudice civile.
Le difese
Mamma e papà, secondo la Procura, «erano a conoscenza della posizione podalica della bimba, consapevoli che questo potesse comportare eventi avversi con gravi conseguenze, e infatti i medici del Santa Chiara avevano detto loro di andare in ospedale al travaglio per il parto cesareo». Ma non hanno allertato i soccorsi nemmeno quando sono sorte le complicazioni durante il travaglio. Il loro avvocato, Andrea de Bertolini, nella sua arringa ha evidenziato come la mancata attivazione dei soccorsi non sia da addebitare loro, in quanto si trovavano in una condizione di prostrazione psico fisica tale per attivarsi in tal senso: sia la madre, per il lungo e sofferto travaglio, durato dieci ore, sia in padre che vi ha assistito, emotivamente provato. I legali delle due ostetriche, gli avvocati Roberto Bertuol e Battisti, hanno sostenuto come non sia invece provato il nesso causale tra le lesioni cerebrali e la mancanza di ossigeno che le ha provocate. Un danno, questo, che stando alle difese potrebbe essere comparso, anche antecedentemente al travaglio e al parto.