Biodiversità
martedì 3 Gennaio, 2023
di Rosario Fichera
Le parole rendono l’idea. «Scoprire una nuova specie è sempre un fatto eccezionale: vuol dire vedere qualcosa che nessuno ha mai visto prima, un po’ come salire una cima mai scalata e ammirare il mondo circostante da una prospettiva nuova».
Giovanni Timossi, entomologo, racconta così l’esperienza vissuta di recente, insieme al collega Peter Huemer, quando ha avuto la conferma di avere scoperto una nuova specie autoctona di farfalla notturna delle Dolomiti di Brenta, una falena di «casa nostra» che vola nei cieli d’alta quota e a cui gli scopritori hanno dato il nome di “Sattleria dell’enrosadira” (il nome scientifico è Sattleria enrosadira Timossi & Huemer 2022).
Una scoperta molto importante, realizzata nell’ambito del progetto «BioMiti – Alla ricerca della vita nelle Dolomiti di Brenta» che si pone gli obiettivi principali di studiare la biodiversità delle Dolomiti di Brenta e gli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi presenti in questa catena montuosa. Un progetto di ricerca pluriennale e interdisciplinare promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta, in stretta collaborazione con il Dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università degli studi di Sassari, la Sezione di Zoologia degli invertebrati e idrobiologia del Muse, le Università degli studi di Bologna, Padova e Pavia, la Fondazione Museo Civico di Rovereto, e di cui si è fatto il punto della situazione qualche giorno fa nel corso di un seminario che si è tenuto alla Casa del Parco di Carisolo.
Un incontro, quest’ultimo, ricco di novità, durante il quale gli scienziati impegnati nel progetto hanno illustrato i risultati delle loro ricerche sul campo, delle vere e proprie fotografie degli ecosistemi presenti nelle Dolomiti di Brenta che permetteranno di capire, grazie a una serie sistematica di monitoraggi iniziati nel 2018 e che proseguiranno nei prossimi anni, come stanno cambiando questi affascinanti mondi ricchissimi di biodiversità.
“Fotografie” che già indicano come numerose specie di animali e di piante a causa dell’aumento delle temperature medie stiano salendo sempre più di quota, come le arvicole rossastre, la cui “migrazione” verso l’alto rischia d’innescare possibili conflitti competitivi con i “nativi” delle nuove aree colonizzate, in questo caso le arvicole delle nevi. Oppure come l’altrettanto sorprendente caso della “Genziana del Brenta” che ha raggiunto altitudini mai viste prima, addirittura i 2.900 metri di quota, infrangendo il record di presenza a 2.650 metri di altitudine rilevato solo pochissimi anni fa. Ma mentre diverse specie salgono, altre purtroppo si sono incanalate verso un destino ormai segnato, legato alla progressiva scomparsa dei loro habitat naturali, come gli ambienti glaciali.
«Le ricerche sul campo, con rilievi faunistici, floristici e climatici – spiega Andrea Mustoni, responsabile del Settore Ricerca scientifica del Parco Naturale Adamello Brenta e coordinatore del progetto BioMiti – stanno confermando, da un lato, la ricchezza di vita alle alte quote, dall’altro, una preoccupante perdita di biodiversità. Questi risultati li stiamo ottenendo grazie al lavoro collegiale di diversi specialisti di settore, consapevoli del fatto che per interpretare alcune dinamiche in atto, come gli effetti sugli ecosistemi causati dai cambiamenti climatici, è necessario un approccio olistico alla natura e quindi di ricerca interdisciplinare».
Un approccio che permette di avere una visione a 360 gradi della vita nelle Dolomiti di Brenta, comprendendo quindi i diversi organismi che popolano le nostre montagne, dai vertebrati, alle piante, dai licheni agli insetti, un mondo quest’ultimo non molto conosciuto ai più, ma pieno di sorprese anche per gli stessi addetti ai lavori, così come è accaduto agli scopritori della farfalla notturna “Sattleria dell’enrosadira”, i cui maschi iniziano a volare al tramonto, quando le montagne si colorano di rosso.
«Il nome scientifico specifico enrosadira che abbiamo dato a questa falena – spiega Giovanni Timossi – è dedicato proprio all’affascinante fenomeno di arrossamento delle Dolomiti al tramonto. Ci siamo imbattuti in questi coleotteri nelle aree di studio alla base di Cima Grosté, a una quota di circa 2.700 metri e poco sotto il ghiacciaio d’Agola e con sorpresa ci siamo resi conto che in loro c’era qualcosa d’interessante e di particolare, così è partito il processo di descrizione e studio, scoprendo che si trattava di una specie endemica delle Dolomiti di Brenta».
Per ora sono stati scoperti solo gli esemplari maschi di questa specie, il prossimo obiettivo è di allargare le ricerche anche alle femmine che, a differenza dei loro compagni, non volano. Anche questa farfalla notturna deve però fare i conti con gli effetti dei cambiamenti climatici, perché per seguire la flora che garantisce la sua vita potrà essere costretta a salire via via di quota, naturalmente fino a quando l’habitat a lei congeniale resisterà all’aumento globale delle temperature.
Stessa sorte anche per un altro insetto, diventato per i ricercatori una vera e propria sentinella dei cambiamenti climatici nelle Dolomiti di Brenta: il Coleottero Carabide Nebria germarii, una specie specializzata a vivere in ambienti ghiacciati e nel caso specifico di BioMiti in ciò che resta della vedretta d’Agola. A seguire le sue sorti, legata al ritiro dei ghiacciai, sono i ricercatori della Sezione di Zoologia degli invertebrati e idrobiologia del Muse, in particolare Mauro Gobbi.
«Essendo amanti del ghiaccio – spiega Mauro Gobbi – le popolazioni di questo coleottero nelle Dolomiti di Brenta sono purtroppo prossime a rischio di estinzione. Dalle ricerche che abbiamo effettuato sulla sua distribuzione, risulta che in un secolo si è spostato di circa 350 metri di altitudine verso l’alto. Si tratta quindi di una specie che ha visto il suo habitat progressivamente ridursi e frammentarsi e in alcune zone si è ovviamente già estinta. Con i cambiamenti climatici ci sono dei vincitori e sicuramenti dei perdenti, cioè quelle specie esclusive degli ambienti glaciali, spesso endemiche, che rappresentano un tassello all’interno dei delicati equilibri delle reti ecologiche e reti trofiche che guidano il corretto funzionamento degli ecosistemi».