Istruzione
lunedì 1 Aprile, 2024
di Tommaso Di Giannantonio
Prevedere due ore di educazione motoria, anziché una, è importante. Ma è altrettanto importante non tagliare le ore ad altre discipline come storia. Dunque «si aumenti il tempo scuola». Dario Ianes, professore di Pedagogia dell’inclusione alla Libera Università di Bolzano e co-fondatore del Centro studi Erickson di Trento, rilancia la proposta dei dirigenti scolastici trentini dell’Anp, associazione nazionale presidi (il T di ieri). Ma non solo. Denuncia anche la «segregazione formativa» che emerge dall’ultimo report del Dipartimento istruzione della Provincia: «Gli studenti con disabilità, Dsa, stranieri e con competenze minori vanno quasi tutti alla formazione professionale, come se fosse una scuola di serie B».
Professore, cosa ne pensa della decisione della Provincia di introdurre la seconda ora di motoria nelle classi quarte delle elementari (scuola primaria)? Penalizza eccessivamente le altre discipline?
«La seconda ora di motoria è molto bella. I bambini hanno bisogno di muoversi, anzi devono muoversi sempre di più. Non trovo scandaloso fare due ore di motoria in quarta. Trovo scandaloso che si debbano ridurre le ore in altre discipline. Si aumenti il tempo scuola. Non ha senso togliere un’ora di storia per fare un’ora di motoria. Ma c’è anche un’altra questione».
Prego.
«Le ore di motoria sono svolte quasi sempre dai professori delle scuole medie. Un altro docente in più. Per il bambino è disorientante avere sei o sette docenti di riferimento. In altri Paesi, come gli Stati Uniti, lo sport viene praticato all’interno della scuola, non viene delegato alle associazioni sportive. Lo sport rientra nel tempo scuola. In questa cornice le ore di motoria avrebbero anche più senso».
Sottraendo un’ora a un’altra disciplina c’è il rischio di non avere tempo per seguire i bambini con bisogni educativi speciali (Bes)?
«Un alunno con Bes ha bisogno di più tempo, non di meno tempo. Se estendessimo il tempo scuola, si potrebbe lavorare con tempi distesi, si potrebbe personalizzare la didattica e fare lavori di gruppo. Si potrebbe fare una scuola molto più completa. Tra l’altro sappiamo benissimo che i bambini appartenenti a fasce svantaggiate non trovano un ambiente ideale a casa».
In Trentino gli alunni Bes – con disabilità o con disturbi specifici di apprendimento (Dsa) – sono 1.400 in più rispetto a sei anni fa (da 5.854 a 7.285). Sono aumentati in modo particolare gli alunni Dsa. Quali sono le ragioni di questo incremento?
«Da un lato è aumentato il livello di consapevolezza, dall’altro lato sono aumentate le strutture che permettono di fare una diagnosi».
Cosa c’è da migliorare ?
«Bisogna lavorare di più sui passaggi da una scuola all’altra: dalle elementari alle medie e dalle medie alle superiori. Più si avanti più calano le performance di questi alunni. Alle elementari i docenti hanno imparato a utilizzare il computer per facilitare l’apprendimento, ma passando alle medie gli insegnanti sono tendenzialmente meno sensibili, ancor meno alle superiori. Bisogna fare tanto lavoro di formazione con i docenti».
Dall’ultimo report della Provincia sull’inclusione scolastica emerge come gli studenti Bes, con cittadinanza non italiana e con competenze minori (voto basso all’esame di terza media) scelgano principalmente la formazione professionale. Cosa ci dice questo dato?
«Questo è drammatico. Le persone con difficoltà sono tutte nei professionali: questa è una segregazione formativa. Nei professionali trovi l’immigrazione, trovi le disabilità, trovi i Dsa e trovi i ragazzi meno competenti. La formazione professionale deve essere nobilitata, deve essere il fiore all’occhiello del Trentino e non la scuola di serie B. L’insegnante che lavora nella formazione professionale dovrebbe essere pagato il doppio di quello del liceo Prati perché la scuola di frontiera è lì. Non solo. Non capisco perché gli studenti dei professionali non possano avere gli stessi stimoli culturali di uno studente del Prati, o perché gli studenti del Prati non possano avere gli stimoli laboratoriali dei loro compagni dei professionali. Perché nel primo biennio non li mescoliamo? Non capisco perché uno studente del Marocco non possa fare storia dell’arte, o perché uno studente della Ztl non possa fare un laboratorio di falegnameria».
L'INTERVISTA
di Gabriele Stanga
Il professore emerito del dipartimento di Sociologia commenta i dati Ocse: «La cultura scolastica è sconnessa dalla realtà economica, sociale e culturale. Non si crea l’abitudine a leggere e informarsi»