Istruzione

martedì 9 Aprile, 2024

Scuola, in Trentino uno studente su sei è di origine straniera. Gerosa: «Serve un tetto variabile ai bimbi stranieri in classe»

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L'assessora: «No al limite fisso del 20%, si può arrivare al 30». Paola Pasqualin, dirigente di Trento 5: «La scuola si deve occupare di chi in quella scuola arriva garantendo a tutti un percorso di massimo sviluppo e successo»

Nelle classi trentine, secondo i dati diffusi dalla Provincia di Trento relativi all’anno scolastico 2022/2023, in media, uno studente su sei è di origine straniera anche se la loro distribuzione non è omogenea e vede alcune scuole, in particolare quelle situate nella zona Nord di Trento come le primarie Gorfer, Pigarelli e Schmid con il 50% di alunni non italiano. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara recentemente in un post su X ha dichiarato che nelle classi andrebbe garantita la maggioranza di studenti italiani per consentire agli stranieri di «assimilare» i valori della Costituzione e di imparare meglio l’italiano. Il ministro Matteo Salvini, addirittura, avrebbe proposto di inserire la «quota massima di un 20 per cento di bambini stranieri in una classe». In realtà, una disposizione sulla composizione delle classi esiste già: il leader della Lega non avrebbe fatto altro che rispolverare una circolare del 2010 inviata dall’allora ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini che suggerisce un limite massimo del 30 per cento di stranieri, e che sarebbe tuttora in vigore. Ma se da un lato, questo «tetto» al numero degli stranieri può sembrare un ottimo metodo per favorire l’integrazione (meglio interazione), quanti di questi «alunni stranieri» hanno effettivamente lacune nella lingua italiana? Durante lo scorso anno scolastico nelle scuole primarie trentine gli studenti senza cittadinanza italiana erano il 14,7 per cento, mentre nelle scuole secondarie il 12,5 per cento. Tra questi vengono contati anche bambini di seconda e terza generazione, ovvero, bambini nati e cresciuti in Trentino ma che, ancora, non hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Bambini la cui madrelingua è a tutti gli effetti l’italiano. Ma, se volessimo seguire quanto suggerito dai ministri, se qualche classe si ritrovasse con un 25 per cento di studenti stranieri, gli alunni «superflui» dove si mettono? Dovranno essere trasferiti in altri istituti? Su quali basi si procederà a scegliere quale di questi studenti dovrà essere spostato?
«Non sono d’accordo su una percentuale flat del 20% unica per tutti i territori – commenta l’assessora all’istruzione Francesca Gerosa – Ho chiesto al Dipartimento di fare una mappatura completa del territorio per individuare le situazioni in cui potrebbe esserci una maggiore incidenza di studenti stranieri nelle classi. Cosa significa maggiore incidenza? Una percentuale di studenti stranieri compresa tra il 20 e il 30%. Nelle linee guida della Provincia già previsti strumenti per l’inclusione degli studenti stranieri. Valuteremo i casi dove si registra una maggiore incidenza per agevolare l’integrazione degli stessi studenti».
Di diverso avviso la dirigente scolastica dell’istituto comprensivo Trento 5 Paola Pasqualin: «Credo che la scuola si debba occupare di chi in quella scuola arriva», dice la dirigente, che preferisce centrare il discorso sui mezzi e sulle risorse («al momento scarsi») che l’amministrazione comunale e provinciale offrono agli istituti per «garantire a tutti un percorso di massimo sviluppo e successo». Pasqualin lancia, poi, una stoccata alla politica sul tema delle politiche abitative, che ritiene essere il problema «a monte» che porta a una maggior concentrazione di alunni di origini straniera in alcune zone della città «che poi, cosa significa straniero?» commenta. «L’amministrazione – afferma Pasqualin – dovrebbe lavorare sulla politica abitativa e sulle politiche sociali: nelle scuole di Trento Nord molte classi hanno più del 50% di alunni stranieri. Perché? Affitto basso, case popolari, centri di accoglienza per minori stranieri, centri di accoglienza per stranieri, tutto concentrato lì». La soluzione, quindi, non sarebbe tanto suddividere gli studenti senza cittadinanza italiana ma «mettere in campo progetti differenti». E, in questo senso, conclude Pasqualin «sicuramente possiamo fare meglio». Insomma, occorre una maggiore attenzione alle politiche di integrazione considerando, però, il fatto che molti, se non quasi tutti i bambini stranieri non hanno certo problemi di comprensione dell’italiano che invece conoscono benissimo.