l'inchiesta
venerdì 20 Gennaio, 2023
di Sara Alouani
In un Trentino sempre più eterogeneo dove i diversi colori delle comunità si intersecano formando meravigliosi arcobaleni, dove dal macellaio halal si trovano anche persone di fede cristiana che comperano la carne perché «è più buona di quella del supermercato» e dove dal negozietto ortofrutticolo gestito da un cittadino di origine marocchina si incontrano diverse nazionalità che fanno la spesa «perché a parità di prezzo, gli ortaggi son più maturi che altrove» dobbiamo scontrarci con una realtà ancora molto allarmante: quella scolastica. In particolare, quando si tratta di indirizzare ragazzi e ragazze appena adolescenti a scegliere il percorso formativo più adatto dopo le scuole medie, una delle prove più difficili e sensibili per quelle età, troviamo un divario molto ampio tra coetanei italiani e stranieri o figli di immigrati ma nati in Italia.
Il 37% sceglie le professionali
Secondo i dati dell’annuario pubblicato dall’Istituto di statistica della Provincia di Trento il totale degli stranieri iscritti alla scuola media superiore nell’anno scolastico 2021/2022 è 2803 studenti di cui 1043 inseriti in centri di formazione professionale, il 37%. Gli autoctoni della stessa età nella provincia di Trento iscritti nella stessa tipologia di istituto per la stessa annata sono quasi la metà, ovvero, il 20% del totale.
Di particolare rilievo è soprattutto il numero di ragazzi di origine straniera o di «seconda generazione», cioè nati in Italia ma che per qualche motivo non sono ancora in possesso della cittadinanza italiana, iscritti nelle scuole della Provincia. Sempre secondo Ispat nel periodo 2021/2022 in 1216 hanno frequentato le scuole medie superiori: un terzo di questi era in istituti professionali.
È questo risultato, forse, frutto di un pregiudizio nei confronti di ragazzi e ragazze, che, a causa delle loro origini non vengono ritenuti all’altezza dei coetanei italiani o si tratta di studenti effettivamente più in difficoltà di altri?
Le possibili cause
L’assessore provinciale all’istruzione, università e cultura Mirko Bisesti non è per nulla stupito dal divario tra le due categorie di studenti, anzi, a detta sua «è fisiologico», e ricorda perfettamente come il giorno in cui consegnò i diplomi negli istituti professionali notò che «la percentuale di presenti non italiani alla cerimonia era decisamente importante – e continua – sono consapevole della situazione scolastica che, in realtà, rispetta il processo sociologico di integrazione che sta avvenendo sul nostro territorio». L’assessore ritiene che si dovrà attendere una ventina d’anni per raggiungere una sorta di «livellamento» tra studenti italiani e di origine straniera che a quel punto saranno una terza, forse quarta generazione.
Di opinione completamente diversa è il consigliere comunale di Trento Assou el Barji, secondo il quale le cause della differenza tra iscritti italiani e stranieri negli istituti professionali vanno cercate, in primis, nel background familiare degli studenti. «Questi alunni – afferma – pagano il prezzo della poca preparazione delle famiglie, che, non conoscendo il sistema scolastico, durante la fase di orientamento si adeguano alle scelte o alle indicazioni della scuola media anche se l’alunno ha del potenziale per fare di più». Anche Elisa Pini, operatrice sociale presso il «centro Astalli» di Trento conviene con questa teoria, infatti da due anni ormai il centro propone, nel periodo che precede le iscrizioni alla scuola media superiore, un corso indirizzato ai genitori stranieri per comprendere appieno il sistema scolastico italiano e spiega «è vero che la scelta della scuola viene fatta principalmente dal ragazzo, ma in alcuni casi viene ostacolato sia dall’incompetenza dei genitori che dai docenti. Il centro Astalli propone un percorso, al momento dedicato a chi è inserito nei nostri progetti, che mostra le diverse opzioni dopo le scuole medie e spiega come si differenziano i licei dalle scuole professionali con le possibilità che ognuno di questi istituti offre. Certamente i genitori italiani hanno strumenti in più per orientare i propri figli verso una direzione piuttosto che un’altra».
È vero anche che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di figli di una classe sociale poco abbiente con «genitori sfiduciati – afferma El Barji – che spingono i figli a imparare un mestiere, perché è più utile e portano a casa una paga in più. Sono spesso famiglie provenienti da zone rurali che non hanno grandi ambizioni per i propri figli». Il consigliere comunale racconta anche di un episodio avvenuto durante la pandemia e che spiega perfettamente le difficoltà che questi ragazzi possono incontrare durante il loro percorso di formazione: «uno studente di origine macedone – spiega – venne bocciato, nonostante le direttive ministeriali fossero ben altre in quel periodo, poiché non aveva i mezzi per seguire la didattica a distanza se non il cellulare che però, il Val dei Mocheni, non funzionava a causa della scarsa rete presente sul territorio».
Tanti pregiudizi
Ma non sono solo i figli degli operai a dover far i conti con numerose difficoltà e pregiudizi, come lo dimostra un’esperienza diretta di Elisa Pini con una ragazzina di origini straniere la cui iscrizione venne messa in discussione dalla dirigente scolastica di un liceo linguistico della Provincia nonostante i genitori entrambi laureati ed un diploma di scuola media con voti ottimi. «La dirigente – racconta Pini – voleva accertarsi del livello di istruzione dell’alunna ed ha chiesto una valutazione del comitato intercultura. Mi ha fatto capire in tutti i modi che non volevano accettare questa studentessa dicendomi addirittura che l’iscrizione non era di competenza loro, sebbene la famiglia risiedesse in quel comune. Mi sono dovuta impuntare e alla fine, dopo svariati colloqui con gli uffici competenti, è stata ammessa. D’altronde non avrebbero potuto rifiutare: i posti c’erano, vigeva l’obbligo di inserimento».
Ritardo scolastico diffuso
Oltre alla situazione familiare, uno dei maggiori problemi che investe gli studenti di origine straniera, anche quelli nati sul suolo italiano, è l’elevato tasso di ritardo scolastico. Questo fattore inserisce questi studenti in percorsi quasi paralleli a quelli dei loro compagni, estraniandoli, così, ulteriormente e alzando un muro all’interno di un’istituzione che invece dovrebbe abbattere le barriere della disuguaglianza. «Il 50-60% degli iscritti agli istituti di formazione professionale – spiega el Barji – non è al passo con la classe ed ha bisogno di ripetizioni, non solo di lingua italiana. In alcuni casi la scuola si appoggia a psicologi che diagnosticano dei ritardi nell’apprendimento o problemi comportamentali e viene offerto a questi alunni un percorso alternativo che però non permette loro l’accesso all’esame finale per il diploma. Alla fine del triennio viene consegnato loro un banale attestato delle competenze. Sicuramente molti di questi manifestano disagi comportamentali forse legati anche al ritardo accumulato negli anni e al percorso scolastico fragile pregresso ma le scuole in questo senso non aiutano molto. Non hanno le risorse e magari nemmeno la pazienza di recuperare questi studenti ed è più comodo parcheggiarli come fossero automobili».
Panorama multiculturale
Secondo i dati forniti dai singoli istituti, il Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci nel periodo 2020/2021 contava il 5% di iscritti senza cittadinanza italiana. Diversi sono i numeri di alcuni istituti professionali come il centro di formazione professionale Sandro Pertini (21%) e Upt che ha costantemente il 25% di alunni stranieri e vanta di un panorama multiculturale ricchissimo. Tra le nazionalità prevalenti troviamo il Marocco, il Pakistan, l’Albania e la Romania ma non mancano studenti dal Bangadesh, Brasile, Algeria, Colombia, Russia, Iran, India, Georgia, Kenya, Kosovo e chi più ne ha più ne metta. «Per noi avere questi ragazzi e ragazze è una ricchezza» afferma il direttore generale Maurizio Cadonna che spiega, inoltre, come gli insegnanti ormai siano abituati a gestire diverse nazionalità e come imparino loro stessi cose nuove giorno dopo giorno. Gli alunni stranieri non sembrano essere particolarmente indietro dai dati forniti dal direttore anche se qualche caso sporadico chiaramente è presente. Cadonna conviene con il fatto che ragazzi e ragazze di origine straniera prediligano le scuole professionali ai licei «forse per tradizione – dice – hanno l’esigenza di collegarsi subito al mondo del lavoro, anche se da anni offriamo l’opportunità di proseguire gli studi con il corso annuale all’esame di stato che apre le porte dell’università. Ormai pochi si fermano al terzo anno». Con soddisfazione il direttore generale afferma che tutti gli studenti, anche coloro che ottengono una qualifica del quarto anno sono impegnati in attività lavorativa e «numerose aziende ci chiamano regolarmente per assumere i nostri studenti e capita che nessuno di loro sia più disponibile».
Ricchezza culturale
Anche il direttore generale di Enaip Trentino Massimo Malossini, Istituto paritario che detiene il 50% della formazione professionale in Provincia, ha una visione molto positiva degli studenti con origine straniera che sono quasi il 18% degli iscritti al suo istituto. «Questi ragazzi – spiega il direttore– hanno un senso di rivalsa incredibile e la loro voglia di fare è quasi maggiore rispetto ai compagni italiani. Spesso ambiscono a ritornare nel loro Paese per aprire attività, i nostri ragazzi spesso non sono così tenaci».
La percentuale di studenti di origine straniera sembra non essere così insostenibile, anzi, e continua Malossini «qui da noi in Enaip questi numeri ce li gestiamo tranquillamente e non abbiamo problemi. Immagino che gestire le tensioni di etnie diverse quando sono più numerosi può essere più faticoso, ma non è il nostro caso».
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