L'intervista

domenica 3 Settembre, 2023

Seconde generazioni, dilemma identitario. La scrittrice-attivista Lale Gül e la sfida alle tradizioni

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Nel suo libro autobiografico contesta la famiglia turca ad Amsterdam: "Cultura e religione non devono essere più forti dell’amore per un figlio"

Lale Gül, nata ad Amsterdam da genitori turchi musulmani conservatori, nel 2021 ha pubblicato «Io vivrò», un romanzo autobiografico, diventato in pochissimo tempo un best seller, in cui contesta tutto quello che le è stato insegnato dalla sua famiglia e dalla comunità turca di Kolenkit, uno dei quartieri più malfamati della capitale olandese. Un pugno nello stomaco che tocca il sensibilissimo tema della religione quello di Gül per cui ancora oggi ne sta pagando le conseguenze: insultata, minacciata di morte anche dai propri cari la venticinquenne vive in un incubo in cui uscire di casa potrebbe significare non ritornarci più. Questa sera alle 18 la giovane autrice è intervenuta all’interno della rassegna Oriente Occidente, alla sala conferenze del Mart.

Gül, nel suo libro critica il modo in cui i suoi genitori l’hanno educata, seguendo concetti religiosi che, però, sono anche stati mal interpretati. Come spiega questa errata concezione dell’islam?
«Penso che sia paragonabile alla discussione sulla legalizzazione delle armi negli Stati Uniti: le sparatorie nelle scuole sono dovute alle armi legali che tutti possono facilmente acquistare, o sono le persone stupide con malattie mentali che usano queste armi per sparare a persone innocenti? È anche paragonabile alla discussione sull’invenzione delle bombe nucleari: sono gli scienziati i cattivi per aver inventato queste armi o i presidenti che decidono di lanciarle contro la gente in Giappone? Naturalmente l’arma in sé non spara su persone innocenti e le bombe in sé non si lanciano su Paesi per bruciare la pelle della gente, ma la loro esistenza ne consente un uso improprio».

In seguito alla pubblicazione del romanzo ha ricevuto molte minacce di morte. Come hanno reagito i media turchi e il governo?
«I media turchi hanno scritto soprattutto cose negative su di me. Un articolo di giornale titolava che nel mio libro ho chiamato mia madre «scarafaggio». Il contesto, cioè, una discussione in cui mi ha picchiata, mi ha fatto molto male fisicamente e che mi ha fatto pensare male di lei, è stato ovviamente tralasciato. Mi hanno dipinta come una donna irriverente, irrispettosa e presuntuosa. Il governo turco non ha risposto e, ad oggi, non so se avrò problemi ad entrare in Turchia. È sorprendente che gli editori turchi non vogliano pubblicare il mio libro, mentre contattano il mio editore per tradurre altre opere. Quando il mio editore inizia a parlare del mio libro, rispondono che è troppo rischioso per loro».

Lei descrive come i suoi genitori, pur vivendo in Olanda, si comportino come se vivessero ancora in Turchia. Lei dice: «Nella loro mente non hanno mai lasciato il villaggio turco. Ad Amsterdam si circondano di turchi. Guardano programmi televisivi turchi e non possono abbandonare le norme e i valori tradizionali». È proprio questo il destino della cosiddetta seconda generazione: vivere due mondi contemporaneamente…
«Sì, noi della seconda generazione, in quanto figli di migranti, abbiamo un’esistenza molto difficile e affrontiamo spesso crisi di identità. Per la maggior parte delle persone è molto semplice: sei nato da qualche parte e tutti in quel Paese o in quel distretto vivono in un certo modo, quindi partecipi. Mentre noi dobbiamo costantemente navigare tra identità che sono in contrasto tra loro. Bisogna pensarci continuamente: qual è la mia identità? È l’Olanda il mio Paese o la Turchia? Cosa significa essere turco? Cosa significa essere olandese? Quali sono le regole? Cosa significa essere musulmani nei Paesi Bassi? Con quali regole sono d’accordo e con quali non sono d’accordo? Cosa penso dei gay? Che ruolo hanno gli uomini e le donne nella società e nella famiglia? Cosa è buono e cosa è cattivo?».

Molti giovani di origine straniera faticano a trovare il proprio posto nel Paese in cui sono cresciuti. In Italia, il 12 gennaio scorso si è tolto la vita Omar Neffati, un giovane di origine tunisina che da anni lottava per avere la cittadinanza italiana. Come è riuscita a trovare la sua strada?
«Chi non ha una crisi d’identità non potrà mai capire cosa si prova a non sentirsi mai completamente a casa da qualche parte. È un aspetto che viene molto sottovalutato: ci si aspetta che ci assimiliamo completamente e che viviamo come gli europei, ma è difficile, quando tutti intorno a te hanno norme e valori completamente diversi e ti fanno notare che anche tu devi averli e che altrimenti sei cattivo o perso. E dall’altra parte ci sono gli europei bianchi che pensano che non ti sei integrato o assimilato abbastanza se ti aggrappi ai tuoi valori religiosi e culturali. E, soprattutto come ex-musulmano, sei costantemente in lotta con te stesso: voglio deludere la mia famiglia e farla arrabbiare andando per la mia strada, o voglio la libertà, causando la perdita della mia famiglia?».

Da giovane attivista, quale consiglio darebbe soprattutto alle ragazze che, come lei, cercano un percorso alternativo a quello proposto dai genitori che non comprendono il cambiamento necessario per i giovani che crescono in un Paese con tradizioni diverse?
«Nella maggior parte delle situazioni si tratta di scegliere tra la libertà e il sacrificio della propria felicità per la famiglia. Se non avete il coraggio di fare una scelta radicale per voi stesse, la vostra famiglia non la farà per voi. Quindi o osate deluderli o sarete infelici voi stessi. Devi chiederti se vuoi recitare per tutta la vita una commedia o vivere con la verità e far arrabbiare o rattristare le persone. Naturalmente, ognuna deve valutare questa scelta da sola. Per me la libertà ha un prezzo alto, ma ne vale la pena. Ma se qualcuno non vive la vita come me e pensa “non posso essere felice senza la mia famiglia”, allora è un dilemma difficile. Perché significa che si deve lavorare molto duramente per ottenere la loro approvazione, cosa che spesso non è possibile. Allora si rimane solo più delusi, dopo tutti questi tentativi. Quando le persone mi dicono che non potranno mai lasciare le loro famiglie e che saranno infelici, rispondo: “ma saranno loro a lasciare te, se sei onesto. Sarete ripudiati o sgridati. Avrete un amore condizionato. Perché non sono loro a muoversi di più nella tua direzione?”. L’amore deve provenire da due parti. La cultura e la religione non devono essere più forti dell’amore per il proprio figlio».