giovedì 29 Giugno, 2023
di Francesca Fattinger
Serena Dandini, artista istrionica ma sempre fedele a se stessa, alle sue idee e ai suoi desideri, conduttrice, autrice televisiva e scrittrice, con voce sorridente e luminosa racconta delle sue «Cronache dal Paradiso» (Einaudi, 2022) che domani alle 18, in dialogo con l’amico Alberto Maganzini, presenterà nella Rocca di Riva del Garda, in un incontro organizzato dalla biblioteca civica. Un libro in cui la scrittrice con la freschezza e la sagacia che da sempre la contraddistingue accompagna lettrici e lettori e li fa entrare nei suoi ricordi e nel suo Eden personale, ma anche in quello di tanti personaggi del passato: da Jeanne Baret a Monet, fino ad arrivare ad Agatha Christie, Vladimir Nabokov, Margaret Ursula Mee e a molti e molte altre.
Quando e perché è nata l’idea di scrivere «Cronache dal Paradiso»?
«L’idea è nata durante il Covid. Nei momenti più infernali ho pensato che bisognasse parlare di Paradiso, perché non dovevamo perdere quella specie di speranza e di sogno della possibilità di un pianeta migliore e di una nostra vita migliore. Mi sono quindi venute spontanee queste storie di persone che, alcune famose e altre totalmente sconosciute, hanno inseguito in terra un paradiso terrestre e le ho intrecciate un po’ con i ricordi del mio paradiso personale, che era la mia casa dell’infanzia».
La memoria e il ricordo della sua infanzia sono quindi come un filo rosso che percorre tutte le pagine del libro. Che ruolo hanno avuto nella sua architettura?
«Ogni capitolo inizia con un ricordo di questa casa d’infanzia, con i suoi personaggi, alcuni anche un po’ bizzarri, come le mie zie adorate. Questa casa è stata poi venduta, perché mio padre ha venduto tutto. Penso che sia stata una fortuna per me, perché mi ha permesso di acquisire la grinta necessaria a “farmi da sola”, ma il ricordo è una cosa che ti porti dentro. E la cosa bella, come dice Gabriel García Márquez, è che: “la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. E quindi io me la sono riscritta e usando questo fil rouge ho fatto scaturire da quello le storie che poi animano il libro».
E quante e diverse sono queste storie! Ce ne è una a cui è più legata?
«È difficile dirlo, però mi affascina molto la storia di Jeanne Baret che è una donna della seconda metà del Settecento che, quando tutto era proibito alle donne, molto spavaldamente e coraggiosamente ha inseguito i suoi sogni e i suoi desideri da botanica qual era. Dando voce anche al suo desiderio di libertà e di viaggiare, che per una donna era un’altra delle cose proibite, oltre a quello di studiare. Quindi si traveste da uomo pur di affrontare questa avventura e circumnavigare il mondo».
Parliamo ora di lei. Come si relazionano tra loro le sue diverse anime, di conduttrice e autrice televisiva e scrittrice? Hanno influenzato l’immagine del suo personale Eden?
«Sicuramente l’hanno influenzato. Ho appena parlato di Jeanne Baret e anche io ho sempre cercato di seguire le mie passioni e le mie curiosità, che credo sia una formula di sopravvivenza per la qualità della vita. Nel senso che ho avuto una carriera se vuoi anche un po’ irrequieta e dadaista, non lineare, perché ho sempre seguito le mie passioni: dalla scrittura ai monologhi teatrali contro il femminicidio, dalla televisione alla satira fino alla “Tv delle ragazze”. E in realtà è tutto molto coerente se lo si va a leggere bene. Ho detto anche tanti no, non per virtù, ma perché penso che uno debba fare quello che sente. Ho sempre fatto quello che sentivo, anche per non tradire la fiducia del mio pubblico, che mi onora di un affetto straordinario da più ditrent’anni e va rispettato».
A proposito di pubblico: spesso i libri si scrivono con in mente le proprie lettrici e i propri lettori potenziali, lei aveva in mente qualcuno?
«In realtà no, anche se sembra incredibile. Poi però qualcosa è cambiato grazie agli incontri meravigliosi che sto facendo. Perché un libro finisce, ma la parola fine si mette solo quando viene letto e il feedback delle persone che lo hanno letto ti torna indietro. Tutto allora ha un senso. Io non so bene per chi scrivo, ma poi la quadratura del cerchio si mette a posto quando finalmente incontro le lettrici e i lettori che trovano incredibilmente, e in questo libro avviene moltissimo, parti di sé. Si crea una bellissima comunione, un’intermittenza di relazioni e sentimenti con il pubblico. È in quel momento che capisci davvero per chi l’hai scritto».
La presentazione del libro è organizzata dalla biblioteca di Riva del Garda: qual è secondo lei il compito di una biblioteca, in quanto spazio di aggregazione e di crescita collettiva?
«Innanzitutto sono molto felice di essere a Riva del Garda assieme ad Alberto Maganzini che è un carissimo amico. Riva è proprio un luogo dell’anima, perché una parte della mia famiglia è originaria proprio di là e per me è un po’ come tornare in un paradiso del passato, immergermi nei miei affetti e condividerci anche il palco! Poi per parlare del ruolo delle biblioteche, per me sono davvero avamposti nel deserto. In un mondo dove viene poco considerata la cultura, che invece rappresenta l’unica possibilità di sopravvivenza e di crescita, sono come fari nella notte. Sono davvero felice quando sono le biblioteche che mi invitano».
A proposito di cultura e del suo ruolo sociale. Che cosa ci dice del grosso cambiamento che sta vivendo la Rai in questo periodo?
«Penso che sia un vero peccato che ancora non si sia riusciti a togliere l’egemonia della politica dalla televisione pubblica, che dovrebbe essere la prima industria culturale del Paese. Dovrebbe essere assicurato un pluralismo, una ricchezza e una diversità di vedute. Quindi è molto triste vedere questa specie di assalto solo per questioni di potere e politica. È semplicemente un peccato, perché è un patrimonio di tutti ed è davvero un grandissimo patrimonio. Comunque per fortuna ci sono moltissime altre forme come il teatro e i libri. Quindi viva le biblioteche, viva i teatri e viva gli incontri con il pubblico».
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