L'editoriale
lunedì 14 Agosto, 2023
di Simone Casalini
Ogni giorno emerge una tessera del mosaico della biografia di Chukwuka Nweke, l’uomo di 37 anni che una settimana fa – nel parco Nikolajewka di Rovereto – ha investito con la sua violenza la vita di Iris Setti, fino a disfarla. È come se la fotografia dell’omicida fosse stata fatta a pezzi e ogni giorno si cercasse un lembo di immagine per ricucirne il profilo, per capire quello che le nostre capacità cognitive e immediate non sono riuscite a trattenere. Nell’emergere graduale di singoli indizi sulla personalità di Nweke, nella loro frammentazione, c’è anche la responsabilità della morte di Iris e poiché essa è diffusa non porterà a nulla. Nemmeno a scuse.
Riepiloghiamo a favore di lettrici e lettori e di un barlume di comprensione. Le prime informazioni (domenica e lunedì) su Chukwuka Nweke riferiscono di un senzatetto che già in passato aveva creato allarme sociale. In particolare, un anno fa quando, in preda ai fumi dell’alcol, aveva aggredito un ciclista, poi alcuni carabinieri, terminando con una danza sulla loro auto di servizio. Non risultava fosse in cura al Centro di salute mentale né al Serd. Si apprende che ha una famiglia (moglie e due figli) che vivono in un alloggio protetto. Nessuno lo giudicava pericoloso né con patologie psichiatriche.
Da martedì emergono con più chiarezza e ricerca le tessere del mosaico. Il Centro di salute mentale ripete di non averlo in cura, ma che è stato sottoposto a consulenza psichiatrica in carcere nell’agosto 2022 (tessera numero uno) dopo l’arresto per l’aggressione a ciclista e carabinieri. “Fu giudicato lucido, perfettamente collaborante e senza evidenti problemi di natura psichiatrica” spiega al nostro giornale Claudio Agostini, direttore del Servizio di salute mentale a cui afferisce anche il Serd (Servizio per le dipendenze), particolare importante. Vedremo poi perché. Intanto le sorelle di Nweke – Anthonia e Linda – raccontano di un fratello violento che non riuscivano più a contenere (tessera numero due). “Ho chiamato i carabinieri, ho chiamato i servizi sociali. Volevamo che lo fermassero. Lui non stava bene. Io stessa temevo per la mia vita. Basta guardare quello che ha fatto due settimane fa” confida Linda, riferendo della visita ricevuta da Chukwuka – a cui ha mantenuto chiusa la porta – che si è poi tradotta in danneggiamenti al condominio.
Mercoledì affiorano nuovi elementi sul percorso umano e criminale di Nweke. Prima di sabato 4 agosto aveva già subito tre arresti e non uno come divulgato in un primo momento (tessera numero tre). Nel 2018 finisce in carcere per scontare 8 mesi di reclusione come cumulo di una serie di reati cominciati nel 2011 (resistenza a capotreno, violazione di domicilio, atti osceni). Nel 2021 viene accusato di spaccio (sorpreso con 56 dosi di eroina e due confezioni di hashish) e di essere il componente di una rete di traffico di stupefacenti legata alla mafia nigeriana. Nweke era un manovale della droga, probabilmente reclutato sfruttando la sua dipendenza. Infine, nel 2022 l’arresto per resistenza, lesioni e danneggiamento. Nel frattempo, emergono anche le fragilità nel sistema dei servizi sociosanitari (tessera numero quattro) in relazione alla condivisione di informazioni. L’assessore comunale di Rovereto alle Politiche sociali, Mauro Previdi, ricostruisce: “Al tavolo che comprende l’Unità di strada, la psichiatria e l’alcologia con i servizi sociali di Rovereto non c’erano i servizi sociali della Comunità di valle e nemmeno le forze dell’ordine”. In quella falla è in parte caduta la biografia di Nweke e la possibilità di avere una radiografia precisa della sua pericolosità sociale e del suo disagio. I servizi sociali della Comunità di valle della Vallagarina destinano al dibattuto pubblico un’altra informazione sul 37enne che portava le sue fragilità e le sue dipendenze a spasso per Rovereto. A luglio, un mese fa, avevano segnalato Nweke alla Procura dei minori in relazione al disagio psichico in cui si trovava l’uomo (tessera numero cinque). Come ci erano arrivati? I servizi sociali se ne erano occupati perché in seguito allo sfratto ad Ala della famiglia, moglie e figli erano stati accolti in una struttura protetta mentre lui era finito in strada, aggravando la sua condizione già precaria. E in una visita al nucleo familiare i servizi avevano colto dei segnali di instabilità, che Nweke rischiava di diventare una vita alterata. La Procura dei minori non ha dato seguito alla segnalazione – che avrebbe dovuto generare una Consulenza tecnica d’ufficio (Ctu) – ritenendo che non ci fosse pregiudizio per i figli dal momento che il padre era assente.
E siamo a giovedì quando il dirigente della Dipartimento salute della Provincia, Giancarlo Ruscitti, a “il T quotidiano”, afferma: “Chukwuka Nweke è certificato tossicodipendente e alcolista ed è seguito dal Serd” (tessera numero sei). Smentendo così la notizia dei primi giorni che non fosse in cura al Serd. Ruscitti esclude problemi psichiatrici, il suo comportamento sarebbe l’esito delle dipendenze. Ne è meno convinto Massimo Clerici, vicepresidente della Società italiana di psichiatria, che fa un’altra osservazione: “Spesso in Italia si tende a separare il trattamento delle dipendenze dalla tutela della salute mentale. Questo è in generale un grave errore: qualsiasi manuale di psichiatria chiarisce che l’abuso di sostanze, droghe ed alcol, è direttamente correlato alle patologie mentali”.
Infine, sembra ci sia una sottovalutazione dei temi complessivi delle “biografie scomposte” e della “violenza di genere” nelle affermazioni della procuratrice di Rovereto, Viviana Del Tedesco (tessera numero sette). Alla luce degli ultimi due delitti (Mara Fait e Iris Setti) e di una serie di situazioni di violenza in famiglia e di rischi latenti Rovereto e la Vallagarina esigono un’attenzione peculiare. Una questione avanzata anche da tre realtà molto importanti – Associazione coordinamento donne, Atas e Alfid – che hanno richiesto “i numeri scorporati delle Procure di Trento e Rovereto in materia di violenza maschile alle donne con tre reati cardine: violenza sessuale, maltrattamenti e stalking”.
Queste sette tessere messe insieme, la loro dispersione e mancata condivisione, spiegano – in larga parte o del tutto – perché la sera del 4 agosto, camminando nel parco dopo aver salutato l’anziana madre, Iris Setti è stata uccisa da un uomo che aveva bisogno di aiuto. E che aveva acuito le sue difficoltà per lo stato di emarginazione in cui era terminato. Senza lavoro, con la famiglia in una struttura protetta, con una matrice migrante che imporrebbe un surplus di attenzione culturale e sociale e con una condizione psicologica e fisica – al di là del suo aspetto “spettacolare” e da atleta olimpico come l’ha descritto la procuratrice Del Tedesco – da tempo oltre la linea di salvaguardia.
“Fare rete”, come si è sentito in questi giorni da chi dovrebbe esserne parte, significa sfumare un servizio dentro l’altro perché un soggetto in crisi deve diventare l’intersezione di più interventi, di più aiuti. Fare rete implica l’assunzione di “buone prassi” che non poggiano su basi scientifiche e protocolli, ma sui dati sperimentali che si raccolgono sul campo, in quel enorme laboratorio che è la società. Nel caso di Nweke non è accaduto. E che l’unico accertamento psichiatrico sia avvenuto in carcere, l’istituzione più periferica, è forse l’evidenza di questo puzzle non riuscito.
Tutte le altre appendici di dibattito, dall’inutile (poiché ex post) Comitato di ordine e sicurezza alle speculazioni politiche per arrivare alla polemica anti-Basaglia, sono solo le cortine fumogene accese per non vedere la verità, per non assumersi ancora una volta uno straccio di responsabilità.
L'editoriale
di Simone Casciano
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