Il lutto
martedì 30 Gennaio, 2024
di Alberto Folgheraiter
Addio alla “Mòra” delle caldarroste. Ha ascoltato la lettura di un racconto sui “giorni della merla” che la figlia Manuela Paoli le ha letto mentre, seduta in poltrona, aspettava l’ora del telegiornale. Un piccolo sussulto, quasi un brivido, e ha chiuso gli occhi. Se ne è andata così, in casa della figlia che l’ha sempre accudita con tenerezza, Adelina Cervo, a 95 anni.
Per i trentini un po’ avanti con l’età era e resterà “la Mòra”, la donnina intabarrata che sul far dell’autunno lasciava le tre figlie piccole: Sandra (1955), Manuela (1966) ed Elisabetta (1967) in casa e scendeva sotto i portici di via Suffragio, dove abitava, per tagliare e cuocere le caldarroste.
La “Mòra dele castagne” era figlia d’arte. Suo papà, Giovanni Cervo, detto “il Mòro” era arrivato a Trento da Belluno per fare l’ambulante. Con lui anche il figlio, Luigi, il quale ha rifornito di brioches e pizzette tutti gli studenti delle scuole superiori di Trento. Chiamato, pure lui, “il Mòro”, arrivava dieci minuti prima della ricreazione o dell’uscita dalle lezioni. Si piazzava con l’Ape a tre ruote davanti al “Tambosi”, all’Iti o al liceo “Prati”. Ed era una processione dal “Mòro” neanche fosse la Madonna pellegrina. Una battuta sul calcio Trento, una raccomandazione allo studio, un arrivederci l’indomani.
Se il “Mòro” ha accompagnato le promozioni e qualche bocciatura degli studenti “di allora” (gli anni della seconda metà del XX secolo), la “Mòra” ha visto cambiare la città sul pentagramma delle stagioni.
Era arrivata a Trento a 7 anni e a 9 dava già una mano al papà, a tagliare e cuocere le castagne. Più tardi a mamma Anna e al papà per mandare avanti una gelateria in via Brennero e un’altra gelateria a Mezzocorona. In via Suffragio aveva trovato casa e bottega (all’aperto). I sacchi con le castagne da cuocere li andava a prendere da alcuni fornitori di fiducia nelle zone vocate alla castanicoltura. In Valsugana, soprattutto: Roncegno e Centa. Per i commercianti di via Suffragio, la “Mòra” era un barometro infallibile. Se il bidone di latta usato da fornello e il banco per la vendita restavano sotto lo spiovente dei portici, coperti da un telo, si annunciava la neve o comunque tempo da lupi (allora i lupi erano ancora nelle favole di Cappuccetto Rosso).
Ogni tanto scendeva in strada anche il Tarcisio, suo marito, che lei chiamava “il Paoli” (perché questo era il cognome). Personaggio pure lui di una città che non ha più artigiani e che per trovare un falegname devi cercarlo con il lanternino.
Il “Paoli” lavorava per l’appunto il legno, e lo lavorava proprio bene, nella falegnameria di via San Bernardino, dietro la caserma dei carabinieri.
La “Mòra” fu costretta ad abbandonare le caldarroste nell’inverno del 1991 proprio dalla figlia Manuela che aveva bisogno di lei come baby sitter per il figlio Massimo. Col tempo ne hanno approfittato anche le sorelle così, da nonna della città si è ritrovata a fare soltanto la nonna di nipoti e pronipoti. E pure la suocera: di Claudio Cia, tanto per dire, il consigliere provinciale che ha sposato Manuela Paoli.
Delle sue origini veneto-montanare aveva mantenuto la cadenza e qualche menù. Come la polenta di patate che ha cucinato giusto ieri l’altro, poche ore prima di andarsene, passata la stagione delle castagne, nei giorni della merla che sembrano aver dimenticato l’inverno.
La “Mòra” sarà salutata al cimitero di Trento domani, alle 15, accompagnata dal rimpianto di chi, con la sua immagine, fa memoria di una lunga stagione. Quando tutto era più semplice, quando a scaldarti il cuore era sufficiente un pugno di caldarroste.