La storia
domenica 5 Febbraio, 2023
di Alberto Folgheraiter
Nelle guerre di Napoleone in giro per l’Europa, il Trentino non esportò armi ma fornì arrotini per affilare le spade in dotazione all’esercito francese. Un “molèta” della Val Rendena, tale Maffei da Pinzolo, nel 1813 fu al seguito della tormentata trasferta russa di Bonaparte. Tornò nella sua valle dando suggerimenti ai compaesani sulle rotte da seguire con la “slàifera”, la mola a ruota trascinata come una carriola. Scriveva (1951) Angelo Franchini, da Bolbeno, nella sua tesi di laurea in glottologia all’università di Padova: «La loro caratteristica ‘mola’, di tipo assai affine a quella valtellinese, dalla quale io credo abbia tratto origine, veniva e viene fabbricata nei paesi di Giustino e Vadaione. […] L’arrotino e il suo garzone facevano a piedi lunghi viaggi per paesi e casolari. Quando il sentiero veniva meno, davanti al dosso che si inarcava, smontavano “l’argagn” in cassa e ruota e pazientemente si portavano i pezzi sulla schiena».
L’emigrazione di metà Ottocento indirizzò i rendenèri in Italia, Austria, Svizzera, Germania, Russia, Inghilterra e poi, oltre oceano, Nord America, Canada e Australia. Nel corso degli anni il “molèta” ambulante ha lasciato la strada e il proprio gergo di mestiere, il “tarón”, per aprire negozi nelle principali città.
L’apprendistato a Zurigo
A Trento, da oltre sessant’anni, Silvano Valentini, 85 anni (nella foto), da Iavrè, assieme al fratello Paolo e al figlio Matteo, affila coltelli, forbici, affettatrici, tagliaerba. Un tempo perfino bisturi chirurgici. Nel negozio di via san Marco sono in esposizione lame per mille usi, dal tagliaunghie alla katana, la spada giapponese. Racconta: «A vent’anni sono andato in Svizzera, vicino a Zurigo. Ho fatto l’apprendista per due anni ed ho trovato un padrone eccezionale. Guadagnavo proprio bene. Qui un insegnante percepiva 60 mila lire al mese, io 400 franchi svizzeri che, al cambio, valevano più di 400 mila lire. Lì sono rimasto fino ai trent’anni. Dal 1966 sono qui, a Trento».
Il ritorno
Tutta colpa, si fa per dire, del fratello, Carlo Eligio (1940-2012) il quale aveva saputo che Pio Lorenzi, da Mortaso, vendeva il proprio negozio. La famiglia (quattro maschi e cinque femmine) con la mamma in testa decisero di acquistare la coltelleria Lorenzi e Silvano Valentini fu in tal modo “costretto” a tornare a casa.
Racconta: «L’èra so fradèl dela Zita Lorenzi (dal 1948 al 1964 fu consigliera e assessora regionale per la DC) e ‘l m’è capità en Svizera, a Winterthur. E ‘l m’ha dit: vorìa vender el negozio, ma sol se trovàn ‘na persona bona de laorar. Perché il nostro negozio ha un nome e vogliamo che quel nome sia tenuto per bene».
Il molèta, passato e presente
Come è cambiato il mestiere del molèta? «Come tutto, oggi. Allora erano prevalenti i coltelli da macelleria. Appena arrivato in Svizzera, il mio titolare mi aveva portato a vedere come si affilavano i coltelli a mezzaluna per i würstel. Nei primi anni di lavoro, a Trento, dovevamo affilare anche i rasoi per la chirurgia dell’ospedale. Ci portavano pure i bisturi per le autopsie. Poi sono subentrate lame e strumenti nuovi».
Tuttavia alcuni utensili di particolare pregio debbono essere ancora affilati a mano e con navigata perizia. Al punto che le forbici da barbiere «di alta gamma» sono spedite qui perfino dal Canada dove, peraltro, gli arrotini di Rendena sono delle «star». Come Antonio Nella da Carisolo che, da solo, rifornisce di coltelli affilati tutti i ristoranti del Canada e degli Stati Uniti. Emigrato a 14 anni, nel 1950, ha fatto il garzone per lo zio, poi ha comprato un camioncino di seconda mano ed ha conquistato un impero. Qualche anno fa, quando lo incontrammo a Toronto, aveva un’azienda, la «Nella Cutlery», con 800 dipendenti. Tutte le settimane importava dalla Cina cinque container di coltelli grezzi. Ogni lunedì i suoi collaboratori passavano di ristorante in ristorante, lasciavano due valige di coltelli affilati e ne ritiravano altrettanti bisognosi di un passaggio a fil di mola.
I molèta e l’emigrazione
I tempi eroici della proto emigrazione fanno parte della storia di famiglia anche di Silvano Valentini. «Uno zio di mia moglie, Carmen Maestri, raccontava che all’età di 9 anni partiva da Carisolo e con la ‘slàifera’, a piedi, arrivava a Monaco di Baviera. Mio suocero, invece, era emigrato in Canada ancor giovane. Piuttosto timido, aveva un ingegno eccezionale, tanto che aveva brevettato uno strumento per affilare le lame, contemporaneamente, da entrambi i lati».
Nell’ampio spazio espositivo di via San Marco, a Trento, una “slàifera” in mostra racconta l’emigrazione dei molèti. Fu recuperata a Lipsia, dov’era andato a fare l’arrotino il papà di Pio e Zita Lorenzi (1913-2002).
Un mestiere quasi scomparso
Ormai fa parte della storia perché quello del moléta è un mestiere in via di estinzione. Silvano Valentini allarga le braccia: «L’è ‘n mistér che sporca le man e no te trovi pu nessun co la passion de farlo». Nel negozio di Trento, l’ultimo rimasto in città, lavorano anche Paolo, il fratello di Silvano ed il figlio Matteo. In Val Rendena si cantava un tempo quello che è diventato uno dei brani popolari più noti del coro Cima Tosa di Bolbeno: “Girolemin”. Dice: «Me pari ‘l fa ‘l moléta me fò ‘l moletin/ quant sarà mort me pari sarò ‘l moléta me/ e sin e son la mola e sin e son e san/ l’è n’arte che consola l’è ‘n bon mistér en man».