L'analisi
sabato 5 Agosto, 2023
di Donatello Baldo
A ottant’anni suonati, Adelino Amistadi guarda alla politica provinciale con gli occhi disinteressati: «Mi chiamano tutti i giorni per chiedermi una mano, per sostenere questo o quello. Arrivano le elezioni, c’è movimento, ma io ne sto fuori».
È stato sindaco di Roncone, consigliere provinciale, uno dei mister preferenze che nelle Giudicarie faceva cappotto. Ha tirato i remi in barca?
«A dire la verità, questa politica non la capisco più. Mi sento orfano e se dovessi votare domani sarei in grave difficoltà. Lo dico davvero».
Ha visto quanti sindaci sono pronti a candidarsi? Il famoso «partito dei sindaci» allora esiste, e lei ne è stato un precursore. Eravate quasi una decina nel 2003 in Consiglio provinciale.
«Eh, ma a quei tempi c’era Dellai che curava i sindaci. Per avvicinarsi alla gente, era normale chiedere a un sindaco di mettersi in gioco per rappresentare la sua comunità. Era quasi un approdo naturale la candidatura. Qualcuno poi veniva eletto, e lì c’era anche un po’ di imbarazzo».
In che senso?
«I sindaci arrivano a Trento e si trovano in difficoltà. Succede sempre. Si va con entusiasmo, carichi di buoni propositi, e poi si trova la politica, quando fino al giorno prima ti occupavi di amministrazione. Ascolti discorsi altisonanti quando prima di allora parlavi con la tua gente di problemi concreti».
Ma cosa porta in più un amministratore in Consiglio provinciale?
«Un sindaco ha fatto di sicuro la gavetta, a differenza di molti altri candidati in lista. conosce i problemi reali della popolazione, si rende conto di quello di cui la gente ha bisogno. A volte anche piccole cose, che la Provincia che vola alto non riesce nemmeno a vedere. Penso alle periferie, alle valli, alla sanità. Gli ospedali di valle ridotti a semplici pronto soccorso e se qualcosa si è mantenuto è grazie ai rappresentanti di zona che si sono fatti sentire. E poi c’è un’altra cosa…».
Cosa?
«Che un sindaco porta un contributo di saggezza. Non è ideologico, non è schierato a priori, guarda alla realtà delle cose».
Detto questo, cosa pensa dei partiti di oggi che cercano di accaparrarsi i sindaci per le prossime elezioni?
«Per cercare voti, solo per questo. Nei partiti non mi sembra ci siano grandi personaggi che possano dare garanzia da fare cose buone. Allora mettono i sindaci, così. Ma non come valore aggiunto, per coprire la mancanza di partiti che non esistono più».
Sembra rimpianga gli anni scorsi.
«Lo ribadisco. Non saprei per chi votare, mi sento orfano. E mi accorgo che siamo in una situazione critica. Vengono a cercarmi, mi chiamano tutti i giorni e a tutti dico no, che non vado a rompermi le scatole con una politica che non ha visione, con un’amministrazione che non dà nulla in più a questa terra».
Prima era diverso?
«Ai miei tempi c’era più consapevolezza e molto più entusiasmo. Arrivavano in Consiglio provinciale persone che avevano passato la vita dedicandosi alle proprie comunità. Che avevano fatto un percorso politico, amministrativo, assumendosi responsabilità, accumulando esperienze. E poi c’era una selezione».
Dei candidati?
«Sì. Selezione che facevano i partiti, ma ora dove sono i partiti? Mah. E allora si scelgono personaggi che almeno possano garantire qualche voto, ma è un mercato, non si cercano candidature che possano portare davvero valore aggiunto».
E cosa pensa della legislatura che si concluderà a breve?
«Un po’ vacua, dove tutti si parlano addosso senza capacità di incidere sui processi politici. Non sapevano dove andare, e non sono andati da nessuna parte».
Un giudizio severo, il suo.
«Ora poi che gli autonomisti sono andati a destra, con un partito come Fratelli d’Italia…».
Una decisione sbagliata?
«L’autonomia è una cosa fondamentale, un valore da difendere. Se anche le Stelle Alpine non ci credono più e vanno con un partito romano come quello, non c’è più molto in cui sperare. Io davvero non ho capito questa mossa, se non per sistemarsi. Allora lo dicano che non è più una questione politica ma di poltrone».