L'intervista

domenica 14 Gennaio, 2024

Raffaella Reggi: «Sinner è pronto per vincere tutto. Ma Djokovic resta il favorito»

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L'ex campionessa parla di Jannik Sinner: «Una motivazione per tanti. Grazie a lui il tennis in Italia è diventato come lo sci ai tempi di Tomba»
Raffaella Reggi

Quando giocava, in campo era una leonessa, non mollava niente e combatteva su ogni palla fino all’ultima goccia di sudore. Negli anni ’80, quando Francesca Schiavone, Flavia Pennetta e Roberta Vinci erano ancora delle ragazzine, fu Raffaella Reggi a guadagnarsi il grande merito di rappresentare a testa alta il tennis italiano femminile nel mondo. Salì fino alla posizione n° 13 del ranking, vinse la medaglia di bronzo ai giochi olimpici di Los Angeles del 1984 e due anni dopo divenne la prima tennista italiana a vincere uno Slam, in doppio misto con lo spagnolo Sergio Casal agli Us Open: «Fu una vittoria fantastica, inaspettata. Sergio un compagno di doppio ideale. Fu la prima e unica volta che battei Martina Navratilova, contro la quale in tutta la carriera avrò vinto forse un set. Lei non la prese benissimo, perché negli Slam puntava a portarsi a casa tutti e tre i titoli in palio, ma vincemmo noi», racconta l’ex tennista romagnola che oggi in televisione il tennis lo sa spiegare come poche/i.

Raffaella, lei a 14 anni lasciò la Romagna e volò in America all’Academy di Nick Bollettieri. Non dev’essere stato proprio facile…
«Un giorno a casa a Faenza venne Paolo Bodo a sottopormi davanti ai miei genitori un contratto di sponsorizzazione per abbigliamento e racchette. Un altro faentino, Gianluca Rinaldini, era già sotto contratto e cercavano ora una ragazza. Bodo propose anche una borsa di studio in Florida alla Nick Bollettieri Tennis Academy. “Posso andare, vero?”, mi rivolsi ai miei genitori. “La bambina può partire», disse mia madre, una donna avanti e aperta. È stata lei a incoraggiare mio padre, uomo più della tradizione, a farmi fare quell’esperienza».

E cosa le ha lasciato quell’esperienza da Bollettieri?
«Parecchie bollette telefoniche salate a casa dei miei Faenza, perché dall’America facevo le Collect Call. Ma le racconto come andò il primo giorno…».

Prego.
«Innanzitutto, persi il volo di coincidenza da New York alla Florida, e dormii da sola in albergo all’aeroporto Kennedy con i miei genitori in trepidazione. Arrivai all’Academy Bollettieri a Bradenton e la prima mattina mi presentai in campo. Nick era lì che mi aspettava con i cesti della spesa pieni di palle. Iniziammo a palleggiare, dopo un quarto d’ora lui si fermò, parlava un po’ di italiano con accento campano e mi disse: “Facciamo una scommessa, io e te?”. “Va bene”, risposi. “In un anno tu entri nelle prime cinquanta al mondo”, fece. Non sapevo che dire. Quando chiamai mia madre, lei mi disse “Se te lo dice, tu gli devi credere”. Dopo nemmeno sei mesi, ero nelle prime cinquanta giocatrici al mondo».

Del bronzo alle olimpiadi di Los Angeles che mi dice?
«All’inizio noi del tennis ci additavano come quelli con la puzzetta sotto il naso, poi le cose cambiarono. Avevamo un fantastico capitano come Adriano Panatta, io vinsi il bronzo nel torneo femminile, Paolo Canè in quello maschile. Ho sempre tenuto molto alla maglia azzurra; le facessero tutti gli anni le olimpiadi, non ne avrei saltata una. Ne ho fatte tre da giocatrice e una da capitana non giocatrice a Sidney nel 2000».

Rimpianti?
«Terzo turno a Wimbledon nel 1989 con Arantxa Sanchez. Persi al terzo set dopo aver sprecato due matchpoint. Li vorrei rigiocare. Gettai al vento un’occasione irripetibile, sarei potuta arrivare ai quarti o in semifinale. Non mi è ancora andata giù, ma dico anche che ho perso da un’amica e una grande campionessa. Un altro rimpianto è l’abbigliamento. I completini di oggi sono molto più belli e femminili rispetto ai nostri di allora».

La più grande giocatrice che ha incontrato?
«Martina Navratilova, nessun dubbio».

Dopo quasi mezzo secolo la Coppa Davis è tornata in Italia.
«È stato fantastico poter commentare un momento storico come quello».

Brave anche le nostre ragazze a raggiungere la finale della Billie Jean King Cup.
«Il tennis non è solo uno sport individuale, e quando facciamo squadra noi italiani sappiamo essere belli tosti. Mi è piaciuto l’affiatamento, lo spirito di gruppo e ho molto apprezzato come le ragazze si siano strette attorno a Tatiana Garbin che sta passando un periodo difficile per i suoi problemi di salute».

Con gli Australian Open scatta la nuova stagione. Per John McEnroe, Sinner è pronto per vincere uno slam. E per lei?
«Sinner è pronto. È un ragazzo che sa dove vuole arrivare. Alle Atp Finals di Torino l’ho visto allenarsi con Federico Gaio, ragazzo che seguo, faentino come me, un classe ’92 che vuol avvicinarsi ai primi cento al mondo. Jannik ha un team molto concentrato sull’obiettivo: ho rivisto con piacere Darren Cahill, giocavamo nello stesso periodo; il preparatore atletico mi ha detto che fisicamente Jannik ha raggiunto la sua massima crescita: significa poter spingere e accelerare sui carichi di lavoro in funzione dei match tre su cinque, che nel tennis sono un altro sport».

Berrettini?
«Ragazzo squisito e dal gran carisma. Spero possa giocare senza più fastidi fisici. Se sta bene (non gioca un torneo da fine agosto, ndr), può tornare tra i primi venti-trenta al mondo. Più difficile nei dieci».

Sonego, Musetti e Arnaldi?
«Sonego è un guerriero, gran combattente. Il talento di Musetti è fuori discussione, ma deve trovare continuità. Arnaldi viene da una stagione incredibile; se in finale di Davis non avesse battuto Popyrin, forse ora racconteremmo un’altra storia, perché il doppio australiano era più forte».

I suoi favoriti per il primo Slam dell’anno?
«Djokovic su tutti. Le nuove generazioni gli sono di stimolo e lui le vuol battere. Il suo obiettivo sono gli Slam e la medaglia d’oro alle olimpiadi che gli manca. Poi metto Medvedev, Alcaraz e Sinner. L’Australian Open è un torneo molto dispendioso dal punto di vista fisico, bisogna essere bravi a spendere meno energie possibili ai primi turni e stare sempre belli concentrati».

Nadal ci ha provato, ma ha dato forfeit.
«L’ho commentato al torneo di Brisbane e mi ha stupito in senso positivo. Aveva un solo mese di allenamenti intensi alle spalle, e lo ha pagato nel terzo set in match duro come quello con l’australiano Jordan Thompson, un giocatore che non ti dà respiro; ha perso dopo aver avuto tre matchpoint nel secondo set. Difficile vedere Nadal perdere una partita con tre matchpoint a disposizione».

In Italia il tennis vive un boom che non si vedeva dagli anni Settanta. Che ne pensa?
«Successe la stessa cosa nello sci ai tempi di Alberto Tomba e Deborah Compagnoni. Molte scuole tennis sono a numero chiuso perché non possono soddisfare tutte le richieste. Penso anche che una serie tv come “Una Squadra” di Domenico Procacci abbia avvicinato tanti appassionati. È un momento bellissimo e spero che il cambio generazionale in atto in Italia possa continuare, perché Sinner può essere di motivazione per tanti ragazzi, come lo sono Sonego e Arnaldi, cresciuti nel loro circolo col loro maestro. Vorrei aggiungere una cosa però…».

Quale?
«Ci vuole una dedizione totale, perché nulla arriva per caso».

La stessa dedizione che metteva Raffaella Reggi?
«Eh sì. Senza il mio temperamento tanti risultati non li avrei certo ottenuti».