Tennis
mercoledì 12 Luglio, 2023
di Francesco Barana
Chi non lo conosce pensa che sia freddo. Ma quella è l’immagine pubblica, filtrata da riflettori e telecamere e da un’educazione rara in un mondo dello sport professionistico popolato da personalità aggressive, star e prime donne. Jannik Sinner nel privato, con gli amici, è un altoatesino atipico: esuberante, solare, goliardico, generoso. Dopo la vittoria con Safullin nei quarti di finale di Wimbledon, che gli consegna la sua prima semifinale Slam della carriera, per una volta si è lasciato andare anche davanti ai microfoni: «Sono giovane e felice» ha detto. Più che una frase, un manifesto di un ventenne con fame di vita e di vittorie.
«Sogno di diventare numero uno del mondo e di vincere gli Slam»
Del resto Jannik, che a 14 anni si allenava con il suo idolo Roger Federer, è competitivo di suo ed è cresciuto consapevole di avere un talento unico. Al riguardo, ha sempre avuto le idee chiare. «Sogno di diventare numero uno del mondo e di vincere gli Slam» mi rivelò nel maggio di quattro anni fa, quando era ancora fuori dalla top cento e ai primi passi nel circuito Atp. Nella sua enfasi una sincerità e una spontaneità che non dava adito nemmeno a un cenno di presunzione. Per questo, nell’estate del 2015, ancora tredicenne, lasciò Sesto Pusteria per Bordighera, per essere accolto dal maestro Riccardo Piatti, al quale Massimo Sartori, storico coach di Andreas Seppi, aveva segnalato quel ragazzino dopo averlo notato a Ortisei qualche mese prima: «Era l’8 novembre 2014 quando ho visto giocare Sinner per la prima volta, ricorderò sempre la data» mi ha confidato Sartori, svelandomi poi l’aneddoto di quel giorno in Val Gardena: «Seppi era in tabellone al Challenger di Ortisei e quel giorno volevo farlo scambiare proprio con Sinner, come allenamento. Andy però non stava bene e così andai in campo io. Uscii stremato. Fui impressionato dal talento di quel ragazzino. Pochi giorni dopo andai a parlare con i suoi genitori per portarlo a Bordighera».
Via di casa a 14 anni
Fino a quel momento Sinner era stato allevato tennisticamente da Herybert Mayr, il suo primo maestro a Brunico, che racconta il piccolo Sinner: «A 10-11 anni soffriva di nostalgia appena si allontanava da casa per qualche torneo. Eppure resisteva, faticava e arrivava in fondo; altri ragazzini invece si facevano eliminare al primo turno. La svolta fu ad Avezzano, ai campionati nazionali Under 13. La mattina della semifinale mi disse che stava male, lo portai all’ospedale ma non aveva niente. Giocò, perse, eppure seppe reagire. Fu un passo verso la maturazione: sapeva che se voleva seguire la sua strada doveva togliersi di dosso certe paure. Per questo non mi ha sorpreso quando ha scelto di andare via di casa a 14 anni per imporsi nel tennis».
Il papà chef in Val Fiscalina, la mamma in sala
Per cogliere il carattere di Sinner occorre capirne le origini. Jan è figlio di lavoratori: papa Hans Peter e mamma Siglinde sono persone semplici, defilate e mai invadenti (non troverete una loro intervista), ma attente. Hans Peter, dopo una vita come cuoco al rifugio Fondovalle in Val Fiscalina (dove Siglinde lavora come cameriera), di recente è entrato nello staff del figlio proprio come chef del team: «Dopo anni in cui non me lo sono goduto, ora posso averlo vicino» ha detto Sinner. Hans Peter, tennista amatoriale, poi è colui che ha avviato il figlio alla racchetta, all’epoca più per diletto dato che Jannik da bambino preferiva lo scii, sport in cui pure vanta un titolo italiano giovanile. Sinner spesso ha ricordato quanto ha assorbito dalla famiglia: «I miei mi hanno insegnato la cultura del lavoro e della semplicità. Non mi vedrete mai gettare a terra una racchetta, quello è lo strumento del mio lavoro, ne devo avere cura e rispetto. C’è gente che nemmeno se la può permettere una racchetta…». E che Sinner non sia cambiato, nonostante fama e soldi, lo conferma Mayr: «Non si è montato la testa, è sempre lui, è rimasto se stesso».
Vittur, il manager-demiurgo
La famiglia di Sinner, dicevamo, è defilata ma non disinteressata: ha delegato la cura degli interessi economici e sportivi del figlio al fidato Alex Vittur, 39enne commercialista di Brunico, ex tennista di discreto livello, nei primi anni 2000 nel gruppo di Max Sartori a Caldaro, con Seppi e Simone Vagnozzi, quest’ultimo dall’anno scorso coach di Sinner dopo il divorzio con Piatti. Vittur non è solo il manager, è il demiurgo, la persona più importante e anche più riservata nel «cerchio magico» sinneriano. Dietro le scelte del numero 8 del mondo (compresa quella più difficile di mollare Piatti) spesso ci sono i suoi suggerimenti. Vittur è l’alter ego saggio di Sinner: prudente e razionale, è capace di guidare e controllare l’impaziente esuberanza del Rosso pusterese, che di lui si fida ciecamente.
Vagno, il coach-fratello maggiore
Poi c’è il team. Di Vagnozzi abbiamo accennato. Il giovane coach marchigiano – e qui torniamo a citare Sartori, che è un po’ il trade union storico dei personaggi che ruotano attorno al campione – «è un abile tattico, sa leggere il tennis come pochi, sa indicare al giocatore la scelta dei colpi in base al tipo di avversario e ai frangenti del match». Tra Vagno e Sinner è nato un feeling strettissimo, per Sinner è un coach ma anche quasi un fratello maggiore. Al fianco di Vagnozzi da un anno esatto c’è Darren Cahill, ex coach di Agassi e Simona Halep, il volto più internazionale dello staff. Cahill è l’uomo che lavora sul miglioramento dei fondamentali, sui colpi. Sinner grazie a lui sta arricchendo il suo bagaglio tecnico, dal servizio alla varietà del gioco (slice, volée, dropshot). Una squadra affiata: «Ci troviamo a meraviglia» ha ammesso Vagnozzi su queste pagine a febbraio.
I risultati si vedono. Nel 2023 Sinner ha vinto 38 partite su 48, conquistato un titolo a Montpellier, perso in finale a Rotterdam e raggiunto una finale (Miami) e due semifinali (Indian Wells e Montecarlo) nei Masters 1000. È saldamente in top ten al numero 8 ed è quinto nella race stagionale che qualifica alle Finals di Torino, «Torino è il nostro vero obiettivo stagionale» ci ha detto Vagnozzi. Che però a febbraio su queste pagine vaticinava: «Jannik sarà al top tra tre anni, questo non significa che non possa già vincere qualcosa di importante».
Wimbledon, più che un sogno, forse è già un obiettivo, sebbene lo scoglio Djokovic, che sull’erba dell’All England ha trionfato in sette edizioni e non perde dal 2017, sembra insormontabile. Ma ci piace pensare che Sinner, in rampa di lancio, sia in odore di impresa. Dell’impresa. Riecheggia la sua frase: “Sono giovane e felice”. Con l’animo leggero si può tutto.