Val di Fassa
martedì 24 Dicembre, 2024
di Elisa Salvi
«Mastico legno da quando ho cinque anni. Questo materiale mi è piaciuto sin da bambino ed è per questo che lo lavoro da ottant’anni. Ci ho sempre messo impegno e attenzione. Faccio di tutto, dai giocattoli, ai piatti, ai taglieri, agli utensili da cucina, agli orologi, ai vasi con diversi tipi di legno e resine, ai quadri artistici di paesaggi di montagna».
Così racconta Renato Decrestina, 85 anni di Soraga, una vita trascorsa tra il laboratorio e un negozio che attira valligiani e soprattutto turisti da tutta Fassa, Fiemme e pure dalla Val Gardena, dove gli studi e gli shop di oggetti e sculture in legno certo non mancano, ma dove giochi costruiti bene come quelli di Renato sono comunque difficili da trovare. E infatti quando ci si aggira, con gli aromi del legno che accompagnano il percorso, tra cavallini a dondolo, trenini, macchinine, trottole, Pinocchio di varie dimensioni, culle e carrozzine per le bambole, scacchiere, roulette di legno e tanto altro ancora è un attimo pensare di essere “nel paese delle meraviglie” di ogni bambino. Da questi giochi traspaiono sensibilità e delicatezza verso i più piccoli che Renato ha mantenuto nel tempo.
Lui ha imparato tutto da suo padre, un uomo dalle mani d’oro, da cui ha ereditato competenze, inventiva e manualità. «All’epoca si cominciava presto a dare una mano in famiglia. Non è come oggi, eravamo in sette (come si vede nella foto in bianco e nero, appesa in negozio, che lo ritrae con genitori, fratelli e sorelle negli anni Quaranta), ricordo che mia mamma ci preparava grandi polente, a pranzo e a cena, per saziarci tutti». Ma rispetto a suo papà, che quando in Val di Fassa si viveva di allevamento e agricoltura costruiva carretti, carriole e rastrelli, Renato ha fatto passi in avanti. «Quand’ero ragazzo una ditta di Cavalese chiese a mio padre di preparare dei piatti di legno, così ho cominciato a lavorare al tornio per fare questi piatti. Dopo sono passato alle ciotole e poi ai giocattoli». Tutto, in quest’ultimo caso, è nato da una trottola: «Un giorno, ho visto in Austria una trottola rossa bellissima, l’ho osservata bene per capire com’era fatta e come ruotava attorno al suo asse. Quando sono tornato a casa ho provato a rifarla finché non mi è riuscita bene e non ho più smesso di farne di diverse forme e di tantissimi colori. Alle trottole ho aggiunto i cavalli a dondolo, le automobiline e i treni di legno, giochi classici o popolari come il “pirlo” (gioco con una trottola che deve colpire birilli posti su una tavola inclinata) che molte famiglie fassane hanno in casa, così come i bar storici, e anche passatempi di mia invenzione». Tra questi c’è “l’equilibrì” che, come tradisce il nome, ha lo scopo di mettere in equilibrio, attraverso piccoli cubi e parallelepipedi di legno, un piatto ligneo appeso a una piccola struttura. «Richiede abilità manuale e pazienza, il contrario dei giochi moderni che si fanno al computer o sul telefonino. Di quelli me ne intendo poco. Mia moglie Lucia se la cava bene, ma la tecnologia non è il mio mondo. Ho sempre preferito un materiale vivo come il legno, che senti e trasformi con le mani».
Le festività natalizie sono uno dei periodi in cui la produzione di Renato, una sorta di Babbo Natale che realizza desideri come una volta, va a ruba. E non solo tra i bambini, anche fra i nonni. «I maggiori complimenti li ricevo dai nonni che ritrovano tanti ricordi d’infanzia da condividere con i nipoti. Ecco perché acquistano questi giocattoli che durano una vita. Anch’io conservo, da molti anni, un cagnolino di legno che mi è stato regalato da piccolo: è indistruttibile».
Non c’è un oggetto in particolare che Renato preferisca realizzare. «Ancora oggi, anche se mi stanco molto prima di quand’ero giovane, per me non c’è niente di meglio che trascorrere le giornate nel mio laboratorio, tra l’odore del legno, le forme, gli attrezzi (tra cui decine e decine di scalpelli, messi in perfetto ordine accanto al banco da lavoro, ndr), modelli e calchi che spesso ho ideato su misura per creare alcuni prodotti. Quando sono in laboratorio non mi accorgo delle ore che passano. Perché una cosa è lavorare, un’altra è fare un mestiere che piace: non si fatica, si prova soddisfazione».
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