L'operazione
sabato 4 Marzo, 2023
di Benedetta Centin
Sono albanesi, tunisini ed italiani residenti anche in Trentino. Arrestati un anno fa, accusati di aver gestito e fatto parte, ciascuno con un proprio ruolo, di un vasto giro di droga nel periodo peggiore della pandemia, di aver fatto arrivare lo stupefacente nelle piazze cittadine, in un bar del centro ma anche di aver effettuato consegne nelle valli, sono scesi a patti con la giustizia. Giovedì pomeriggio, in tribunale a Trento, hanno infatti patteggiato un totale di 73 anni di reclusione e multe per complessivi 260 mila euro circa. Pene, queste, che vanno da un minimo di otto mesi a un massimo di cinque anni di reclusione e 20 mila euro di multa.
Ventotto in tutto gli imputati, che il giudice per le indagini preliminari ha assolto dal reato associativo, «perché il fatto non costituisce reato». Giudice che ha anche disposto, in alcuni casi, la revoca delle misure in atto e al contempo la confisca del bar del centro storico di Trento, ritenuto luogo di spaccio, per cui un anno fa era scattato il sequestro. E cioè il «Cafè 34» di piazza Duomo che non aveva più riaperto da allora. E che ora, come disposto appunto in sentenza, passerà di mano allo Stato, al netto da diverse determinazioni della Procura.
L’operazione della guardia di finanza di Trento denominata «#continuoaspacciare», a marzo scorso, aveva portato a sequestrare 21 chili di droga – che avrebbero reso sul mercato dello spaccio al minuto oltre due milioni di euro – e ad arrestare 53 persone tra Italia ed estero (a Trento le manette erano scattate per undici albanesi, due italiani e tre tunisini). In totale erano stati indagati in settanta.
Tra coloro che due giorni fa si sono visti ratificare dal giudice le pene concordate con il pubblico ministero Davide Ognibene titolare dell’inchiesta, vi sono anche coloro che erano considerati i promotori del sodalizio criminale. E cioè i fratelli Albi ed Elison Hasanak, residenti a Mezzolombardo – inflitti tre anni e dieci mesi di reclusione e 16 mila euro di multa al primo e tre anni e quattro mesi e 16 mila euro al secondo. E poi Kastriot Hasanaj, anche lui di Mezzolombardo, a cui è andata la pena più alta di cinque anni e 20 mila euro, mentre il cugino Artur Hasanaj di Trento ha patteggiato due anni e otto mesi di pena. E ancora tre anni e tre mesi di reclusione per Valter Pella di Mattarello, ritenuto un grossista, e tre anni e quattro mesi (pena sostituita dalla detenzione domiciliare) a Saimir Osma, che per gli inquirenti era il referente del gruppo che operava in Alta Valsugana. Un promotore del sodalizio, «in grado di gestire le attività delittuose dall’interno della casa circondariale di Bologna dove era recluso». Capace di mantenere i contatti con l’esterno con cellulari clandestini introdotti in modo illegale in carcere.
Proprio al telefono, nelle conversazioni, veniva usato dagli spacciatori un linguaggio «in codice». Le dosi venivano infatti chiamate a seconda «birre», «farina» e «colla». Con il termine «verza», invece, si intendeva un chilo di marijuana e «contratto di lavoro» stava per la fornitura di droga che veniva concordata.