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martedì 10 Ottobre, 2023

Stivor, il paese della Bosnia dove si parla valsuganotto

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Ultimo atto del progetto promosso dall’associazione Oltre

Quattro serate formative nel mese di settembre e quattro giorni di viaggio, dal 5 all’8 ottobre: il progetto «Oltre i confini: destinazione Stivor», promosso dall’associazione culturale Oltre e finanziato dal piano giovani di zona Valsugana e Tesino, è giunto al termine. Un’iniziativa volta a ripercorrere la storia di quelle tante persone che, a partire dal 1882 – anno in cui la Valsugana fece i conti con la povertà e con un’alluvione di importanti dimensioni – e fino alla prima guerra mondiale, partirono dal Trentino e giunsero in Bosnia, dove, vicino alla città di Banja Luka, fondarono un nuovo paesino: Stivor. Una piccola Italia in terra bosniaca, dove ancora oggi la popolazione – i dati ufficiali attestano 600 abitanti, ma gli effettivi sono meno di un centinaio – è composta per il 92% da discendenti trentini.
Una storia riscoperta casualmente negli anni ’70 da Sandra Frizzera, che si fece promotrice dei primi interscambi, proseguiti fino alla guerra nei Balcani degli anni ’90. Con l’inizio del conflitto Stivor, e l’intero territorio bosniaco, fu afflitto da un’importante migrazione di rientro, con i discendenti trentini che tornarono nella terra natia dei loro avi. Un’interessante e complessa storia che è stata ripercorsa dai ragazzi dell’associazione Oltre che hanno visitato di persona i luoghi più simbolici della migrazione trentina e della guerra jugoslava: Banja Luka, Stivor e Sarajevo.
Venticinque i partecipanti all’iniziativa, con un range d’età dai 17 ai 35 anni. Un progetto che ha lasciato il segno, come racconta Agnese Pedenzini, 22enne di Castel Ivano. «A me ha colpito il senso di identità provato dagli abitanti di Stivor. È un’appartenenza che forse noi non sempre sentiamo così forte. Sentir poi parlare il mio dialetto mi ha fatto un certo effetto, considerato che sono passati quasi 150 anni dalle prime migrazioni».
Una migrazione che è avvenuta nei Balcani, territorio complicato sotto più punti di vista. Una complessità con la quale i partecipanti hanno fatto i conti nelle giornate del 7 e 8 ottobre, quando hanno visitato la capitale bosniaca. «A Sarajevo ancora si vedono i segni della guerra. È una città che trasuda di dolore – prosegue Pedenzini –. Nonostante ciò, si respira anche una volontà di non cancellare tutta questa storia di sofferenza, ma di trasmetterla, dando un forte valore alla memoria». Un’esperienza impattante è stata la visita al «tunnel della speranza», ancora di salvezza durante l’assedio. «Il tunnel mi ha impressionato molto. Io sono claustrofobico, e percorrere quel tunnel mi ha lasciato un senso di oppressione. Immaginarsi che 30 anni fa lo percorrevano al buio, con l’acqua per terra, e con tutto il contesto che c’era attorno, ti lascia qualcosa di profondo», il ricordo di Michele Corn, 25enne di Roncegno Terme.
Ad altri, invece, è rimasta impressa la multiculturalità della capitale. «Sarajevo, ma tutta la Bosnia in generale, è una realtà cosmopolita, con molte culture differenti che convivono», racconta Lorenzo Borgogno, 26enne di Telve. «Ciò che poi mi ha colpito è stata l’accoglienza e la disponibilità delle persone».
Per molti la visita più interessante è stata a Stivor, dove gli abitanti ancora parlano il dialetto valsuganotto. «Conoscere questa storia è stato molto arricchente. Dal momento in cui ho sentito parlare in dialetto sono subito entrata in empatia, sentendo una vicinanza rispetto a quei posti e quei luoghi», racconta Giorgia Brendolise, 24enne di Castelnuovo. «È stata un’esperienza che rifarei subito. Poter partecipare ad un viaggio realizzato da pari e con pari mi ha permesso di vedere le cose da diverse angolature e sfaccettature».
Ora che il viaggio formativo è terminato, i ragazzi racconteranno la loro esperienza con un momento di restituzione finale. «Nei prossimi mesi ci piacerebbe realizzare una mostra fotografica con le foto scattate dai partecipanti», spiega la presidente dell’associazione Oltre, Gloria Svaizer. «La nostra speranza e volontà è quella di portare avanti il ricordo della migrazione trentina, specialmente ora che il paesino di Stivor sta subendo, come tante piccole realtà anche in Italia, un importante spopolamento».
Spazio, infine, anche per qualche riflessione sulle migrazioni del presente. «Come abbiamo imparato durante le serate formative, la migrazione dei valsuganotti a Stivor ha punti di contatto con le migrazioni del nostro tempo. La principale causa rimane sempre la povertà. Conoscere e vedere da vicino la migrazione trentina può aiutarci a comprendere meglio anche la contemporaneità», conclude Svaizer.