La storia

mercoledì 3 Luglio, 2024

Stivor, un pezzo di Valsugana che resiste in Bosnia Erzegovina

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A legare le due terre un filo ininterrotto cominciato con una migrazione nel 1883. All'ingresso del paese, che oggi ha 300 abitanti, il «Bar Trentino»

Nel Nord della Bosnia, nei pressi di Banja Luka, sorge un paesino di poco meno di 300 anime: Stivor. La particolarità del paese si scorge subito all’entrata, a pochi passi dal cartellone di «Benvenuti», dove si trova una locanda. A incuriosire è il suo nome: «Bar Trentino».
Già, perché a Stivor, ancora oggi, le persone parlano il dialetto valsuganotto. Gli abitanti sono pressoché tutti discendenti di persone emigrate dalle terre della Valsugana a fine Ottocento. Rivediamone la storia: in un Trentino caratterizzato da una povertà diffusa, nel 1882 la celebre alluvione causò l’esondazione del fiume Brenta. Ciò che ne seguì fu una devastazione delle case e, cosa forse ancora più grave, delle campagne. Per una Valsugana profondamente rurale, questo causò numerose difficoltà socio-economiche.
Il raggiro e la donazione di Francesco Giuseppe
In questo contesto furono molte le famiglie che decisero di emigrare. La meta preferita era il Sudamerica. Sul perché una parte dei valsuganotti scelse invece la Bosnia le opinioni degli storici divergono. Una delle ricostruzioni più accreditate, che però sconta il rischio di essere stata romanzata nel corso degli anni, racconta di una vera e propria truffa perpetrata nei confronti dei poveri contadini: racimolata una somma sufficiente per un viaggio in Brasile, le persone incaricate dell’organizzazione del viaggio oltreoceano fuggirono con i risparmi dei trentini. Così, già poveri e ora anche derubati, i valsuganotti si rivolsero alle autorità dell’impero austroungarico, di cui ovviamente il Trentino all’epoca faceva parte. L’imperatore Francesco Giuseppe, visitatore dei centri termali di Roncegno, accorse in aiuto, donando agli emigranti alcuni appezzamenti di terreno nella provincia di Banja Luka.
La povertà e la colonizzazione
Un’altra ipotesi, meno romanzata e riportata in alcuni volumi – tra cui la pubblicazione «Ai confini dell’impero», di Mariarosa Sartorelli –, parla invece di una storia un po’ più complessa: nel contesto di una Valsugana in grave difficoltà e martoriata dall’alluvione, numerose famiglie cercarono fortuna all’estero. L’imperatore Francesco Giuseppe, in quegli anni, dopo aver ottenuto il controllo delle terre dell’attuale Bosnia dall’impero ottomano, organizzò una colonizzazione del territorio. In questo contesto si inserì dunque l’emigrazione trentina in tutta la Bosnia.
La prima famiglia nel 1883
La prima famiglia accertata presente a Stivor risale alla primavera del 1883. L’anno successivo 28 famiglie, formanti un gruppo di 136 persone, partirono con il treno assistite dalle autorità tedesche. L’emigrazione proseguì, a fasi alterne, fino a fine secolo.
Le coltivazioni trentine in Bosnia
Giunti in Bosnia i valsuganotti portarono avanti le loro tradizioni. Si cominciò dal trapianto dei prodotti delle campagne trentine: la vite anzitutto. Le qualità di uva coltivata erano (e sono ancora) l’uva fragola, il clinto o cincon, che dà un vino forte e scuro, la rossara dalla quale si fa un vino rosato chiamato Schiller. Poi si passò all’orto, seminando i cavoli cappucci per realizzarne i crauti, le patate, i fagioli e il mais per la polenta.
La riscoperta negli anni Settanta
Con lo scoppio della prima guerra mondiale e, successivamente, del secondo conflitto, la Valsugana si dimenticò dei suoi avi emigrati in Bosnia, e viceversa. Questa storia risorse però alla luce nel corso degli anni ’70, quando Sandra Frizzera, giornalista e scrittrice, s’imbatté quasi per caso in questa piccola realtà dove il tempo sembrava essersi fermato. Da questa sua scoperta l’autrice scrisse due libri: «Stivor, odissea della speranza» e «Stivor: la nostra terra».
In quegli anni i rapporti tra la Valsugana e il paese bosniaco si intensificarono, con interscambi e gemellaggi costanti. Per la Bosnia i problemi si acuirono con la guerra nei Balcani. Alcuni discendenti trentini colsero l’occasione dei legami con la Valsugana per tornare a ristabilirsi nella terra natia dei loro avi e sfuggire al conflitto.
La raccolta fondi per la chiesa
Nel 1997, assopita la guerra, a Stivor venne costituito il circolo trentino di Stivor, oggi denominato «Associazione Stivor ETS», con sede a Roncegno Terme. I rapporti con la Valsugana sono rimasti costanti, anche se ormai Stivor si sta riducendo numericamente nel corso degli anni a causa dello spopolamento che sta colpendo i centri più piccoli.
La comunità locale, tuttavia, sente ancora forte il legame con la terra trentina. Lo dimostra una recente vicenda: una delle particolarità di Stivor è la sua chiesa, al cui interno è presente un grande dipinto che simboleggia l’epopea dei migranti. Dopo aver subito ingenti danni, prevalentemente a causa del passare del tempo e delle intemperie, l’associazione di Stivor ha effettuato una raccolta fondi che, in breve tempo, ha riscosso successo sia in Valsugana che a Stivor, permettendo di cominciare i lavori di ristrutturazione straordinaria.
«La chiesa rappresenta per noi molto più di un semplice edificio. È un simbolo di fede, comunità e storia», racconta Elvira Pobric, segretaria dell’associazione Stivor ETS. «La sua manutenzione e preservazione sono essenziali per mantenere viva la nostra identità e tradizione».
Un simbolo che rende l’idea dell’attaccamento degli stivorani alla loro terra. «Per noi Stivor rappresenta un simbolo delle nostre radici, delle nostre tradizioni e della nostra cultura. È il legame con le nostre famiglie e le nostre origini – prosegue –. Attraverso le attività dell’associazione manteniamo vivo questo legame. Stivor è tuttora un’oasi di italianità. Questa unicità è mantenuta in vita e curata dall’amore degli stivorani, molti dei quali oggi vivono all’estero, principalmente in Valsugana, dove ci sono circa 400 persone, a causa della guerra».
«La magia di Stivor»
Il pensiero, infine, va ai ricordi, ora che Pobric passa molto del suo tempo in Valsugana e meno in terra bosniaca. «Ogni volta che posso torno volentieri a Stivor, dove rivivo sempre una specie di magia, in cui mi trascinano i profumi dei cibi tipici italiani che preparava mia nonna e che hanno accompagnato la mia infanzia. Ritengo che Stivor sia un nostro gioiello da custodire gelosamente».