Il lutto
sabato 11 Marzo, 2023
di Alberto Folgheraiter
«Possiamo ricominciare solamente dopo esserci congedati dal passato, solo se ci perdoniamo, se ci riconciliamo con noi stessi, se abbandoniamo ciò che è stato e ci dedichiamo al presente». Così, nella conclusione di un testo intitolato «Nostalgie, cartoline autobiografiche del mio Medioevo» e che uscirà postumo, Gianni Poletti, «el profesür» di Storo morto ieri a 83 anni.
Giuliano Beltrami, giornalista e professore egli stesso, che per un buon tratto lo ha avuto compagno di scuola, di viaggio nell’impegno sociale e nell’impegno politico-amministrativo, dice sconsolato che «la morte di Gianni Poletti è una perdita per tutta la comunità giudicariese. Era una delle più belle teste-pensanti del Trentino occidentale».
Carattere spigoloso, forse perché, come scrive nella sua autobiografia, timido fin da piccolo, il professor Poletti ha avuto per larghi tratti una vita in salita. Ecco qualche frammento di un testo che, alla luce dell’accaduto, si pone come un lascito testamentario alle giovani generazioni. «Nelle periferie e tra la popolazione meno istruita, il Medioevo è resistito fin oltre la metà del Novecento, custodito da una società contadina che durava quasi immutata da più di un millennio». Ricordava: «Gli anni della mia infanzia sono stati gli ultimi del Medioevo a Storo». Raccontava, infatti, di aver «visto» il Medioevo, annusato gli odori della polvere nelle strade, le esalazioni degli escrementi degli animali. Non c’era l’acqua corrente nelle abitazioni; il telefono solo all’albergo Centrale «ma le chiamate erano molto rare». Ancora: «Sono cresciuto in una società in cui c’era una totale sovrapposizione tra società civile e religiosa».
Famiglia matriarcale, dignitosa miseria, le visite ai santuari, il dialetto scritto e parlato; la vita dell’infanzia, le storie del nonno Gioàn, l’emigrazione americana, i riti della religione cristiana declinati sul calendario liturgico. Due messe al giorno e un’infinità di processioni. Il Dio della sua infanzia fu «un Dio tappabuchi». Ha conosciuto la «fabbrica dei preti» («Nonostante tutto, conservo un buon ricordo di quegli anni»; «So benissimo che senza il passaggio in seminario la cultura sarebbe rimasta appannaggio dei soli ceti abbienti»; «In quegli anni ho studiato e imparato moltissimo, ma ho giocato troppo poco. Ad alcuni superiori che avevano venti o trent’anni più di me non perdono tuttavia di non avermi detto nulla di quello che ho dovuto scoprire, lentamente, da solo»).
Divenuto prete fu mandato cappellano ad Avio e poi nella parrocchia di S. Maria Maggiore a Trento dove, innamoratosi di colei che poi sarebbe diventata la compagna di un’intera vita, decise di tornare a casa. A differenza di altri che in quegli anni effervescenti del dopo Concilio stavano attaccando la tonaca al chiodo, a Gianni Poletti il bigottismo paesano non perdonò mai quella scelta coraggiosa ancorché sofferta. Dice Giuliano Beltrami che «se fosse stato democristiano ed acquiescente al potere politico che dominava come una cappa anche la valle del Chiese, avrebbe fatto carriera. Negli enti che contano e nella politica provinciale».
Si laureò a Padova in lettere e filosofia, divenne professore di scuola media e preside, poi dirigente scolastico negli Istituti Superiori.
La passione per la storia lo portò a fondare, negli anni Settanta, «Passato-Presente», una rivista che recuperava per la comunità dell’oggi frammenti di vita, pertanto la storia delle comunità del passato. Ancora Beltrami: «Cultura sedimentata da studi e riflessioni, spirito critico, pertanto difficilmente ingabbiabile, Gianni Poletti non poteva essere organico al sistema. E non lo fu».
Arrivò in consiglio comunale a Storo, ma sui banchi dell’opposizione dove sedette tra il 1980 e il 1995. Furono anni fecondi. La nascita della cooperativa culturale «Il Chiese», i corsi dell’università della Terza età (Marcello Farina fu tra i docenti, felice di poter essere utile al suo compagno di seminario), fu nel direttivo del Centro Studi Judicaria e annoverato tra i soci dell’Accademia degli Agiati, a Rovereto.
Scriveva Poletti: «La fine del medioevo è iniziata con l’avvento dell’industrializzazione e si è conclusa con la chiusura della fabbrica dei preti che quel Medioevo alimentava». Ancora: «Io sono cresciuto nella povertà e la povertà mi ha insegnato a vivere».
Gianni Poletti se ne va a 83 anni, dopo aver seminato cultura e raccolto anche amarezze. Restano, a testimoniarne l’impegno e la dedizione, la moglie Silvana, i figli Stefano e Piero. I funerali domani, domenica, alle 14.30 nella parrocchiale di Storo.