Economia
mercoledì 5 Aprile, 2023
di Gabriele Stanga
Nell’arco di un decennio, si sono persi 630 negozi. Una riduzione delle attività commercio nell’ordine del 10%, sintomo di una difficoltà del settore che affonda le radici indietro nel tempo. E che nel 2022 continua a mostrarsi nella difficoltà dei bilanci di numerose imprese. I dati diffusi dalla Camera di commercio di Trento (Cciaa) rispetto all’andamento del settore in provincia mostrano un fenomeno che ha diverse concause. La crescente competitività, l’ingresso sul mercato di grandi catene, con la conseguente pressione al ribasso dei prezzi, oltre che all’aumento dei costi di gestione ed in bolletta. Meno negozi, però, significa anche meno opportunità di occupazione nel terziario, che in Trentino traina soprattutto l’occupazione femminile, ed un generale impoverimento dell’offerta commerciale nei centri storici.
Uno dei fronti di intervento, suggerisce Giovanni Bort, presidente della Cciaa, potrebbe essere una pianificazione e programmazione dei grandi eventi, con interventi infrastrutturali mirati. Bort fa notare anche come in città vi siano aree di desertificazione e sarebbe opportuno agire nella direzione di una diffusione dell’attività.
L’analisi di medio periodo, dal 2010 ad oggi, restituisce un trend negativo del commercio al dettaglio in sede fissa, con un calo drastico dal 2015 in avanti. L’andamento è in linea con quello nazionale, che si attesta sul – 9,2 per cento. L’unica realtà in cui il fenomeno si inverte, con una tendenza positiva dello 0,6 per cento, è rappresentata dalla provincia autonoma di Bolzano. Le ragioni di questo incremento nell’area altoatesina sono, secondo la camera di commercio, da individuarsi in una maggiore protezione del mercato e soprattutto nel peso specifico del turismo, con ospiti che hanno una capacità di spesa importante, la quale favorisce la sopravvivenza dei negozi. Lettura che sembra confermata anche dai parametri relativi alle valli, con Valle Rotaliana, Alto Garda e Paganella che presentano una tenuta del settore migliore rispetto a quelle delle altre. Il turismo salva i negozi, insomma. Restando sempre sulle valli, appaiono più cupe le situazioni in Val di Fiemme e negli Altipiani Cimbri, con una variazione negativa rispettivamente del 22,4 e del 17,5 per cento. Per quanto riguarda i singoli comuni, Cavalese ha perso 24 negozi, Rovereto 44, mentre Trento si spinge fino a toccare i 108 esercizi commerciali in meno. Di recente, proprio nel capoluogo, hanno chiuso i battenti lo storico emporio di abbigliamento Leoni e la profumeria locale NellaLù, scoraggiati dalla mancanza di affluenza per le vie del centro. Lo scenario non è tanto migliore per le grandi catene. Accanto a loro, va ricordata anche la chiusura del punto vendita Conbipel di Via San Pietro, avvenuto nello scorso luglio, le incertezze sugli altri punti vendita, oltre a problemi su arretrati e clausole contrattuali svantaggiose, come spiegato dai sindacati (vedi «Il T» del 29 marzo).
Va detto che la diminuzione dell’occupazione, che pure è presente, non è così marcata, attestandosi intorno al 3%. Si tratta però di stime indicative e non precise, che necessitano di tempo per ulteriori approfondimenti. Nel comune di Pergine la situazione del settore è migliore, anche grazie all’aumento della popolazione ed alla struttura commerciale che ne favoriscono la stabilità. A fare da contraltare alla diminuzione del numero di negozi, vi è un aumento delle superfici di vendita: crescono le dimensioni delle singole botteghe (+6,8 per cento dal 2010). Aumentano anche i locali che svolgono commercio al dettaglio come attività secondaria e al di fuori dei negozi (il reparto online che è passato dai 55 ai 289 esercenti). Andando ad analizzare la specializzazione commerciale, si nota un cambiamento delle abitudini e dello stile di vita da parte dei consumatori. In calo l’acquisto di giornali, abbigliamento, ferramenta e carne; più popolari articoli sportivi, elettrodomestici (cellulari in testa) e medicinali.
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