Il caso
lunedì 26 Giugno, 2023
di Simone Casciano
Una studiosa di Harvad che dimostrava il potere dell’onestà accusata di aver falsificato i dati delle sua ricerca. Sembra un paradosso, ma è quello che sta succedendo alla trentina Francesca Gino.
La studiosa e professoressa alla Harvard Business School si trova nell’occhio del ciclone perché sospettata di aver falsificato i dati di alcune sue ricerche. A scoprire le presunte fallacie negli studi comportamentali della professoressa originaria di Tione è stato prima un articolo comparso sul portale americano The Chronicle of Higher Education, la ricerca di alcuni scienziati comportamentali americani e poi un’inchiesta condotta dal New York Times. Le ricerche della professoressa Gino si incentrano sulla scienza comportamentale una branca, a metà tra psicologia, management ed economia, che nell’ultimo decennio ha assunto sempre più importanza, dimostrando come anche piccoli interventi possano migliorare il benessere delle persone e quindi anche della società. Ora però i risultati delle ricerche di una delle figure più importanti in questo campo, Francesca Gino, stanno venendo messi in discussione. Originaria della zona di Tione, diplomata al liceo scientifico locale e poi laureata in economia all’Università di Trento, Gino aveva poi proseguito gli studi con un dottorato di ricerca alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa per poi approdare negli Stati Uniti dove, a soli 35 anni, era stata nominata «Full professor» presso la Harvard Business School. Francesca Gino è stata coautrice di decine di articoli pubblicati su riviste specializzate su vari aspetti della scienza comportamentale: il fatto che rituali, come contare silenziosamente fino a 10 prima di decidere cosa mangiare, possano aumentare la probabilità di scegliere cibi più sani oppure gli effetti del networking sui professionisti. La ricerca che le viene contestata è del 2012, proprio gli anni della sua ascesa ad Harvard. Questo studio, realizzato da Gino assieme a quattro colleghi, è stato messo in dubbio da un articolo scritto il 16 giugno su The Chronicle of Higher Education.
La ricerca del 2012 dimostrava che chiedere alle persone, che compilano documenti fiscali o assicurativi, di attestare la veridicità delle loro risposte in cima al documento piuttosto che in fondo aumentava significativamente l’accuratezza delle informazioni fornite. Lo studio è stato citato centinaia di volte da altri ricercatori, ma lavori più recenti hanno messo in serio dubbio i suoi risultati.
Il 17 giugno, un blog gestito da tre scienziati comportamentali, chiamato DataColada, ha pubblicato una discussione dettagliata sulle prove sostenendo che «i risultati di uno studio condotto dal dottor Gino per l’articolo del 2012 erano stati falsificati». Nel post si legge che «i blogger hanno contattato la Harvard Business School nell’autunno del 2021 per sollevare preoccupazioni sul lavoro della dottoressa Gino, fornendo all’università un rapporto che includeva prove di frode nel saggio del 2012 e in altre tre ricerche a cui la dottoressa aveva collaborato». Nel post sulla professoressa i ricercatori hanno detto che: «Harvard avrebbe messo Francesca Gino in congedo amministrativo», senza però indicarne il motivo e se si visita il sito dell’università infatti la professoressa trentina appare in «administrative leave».
Il documento del 2012 si basava su tre studi distinti. Uno studio supervisionato dalla dottoressa Gino riguardava un esperimento di laboratorio in cui a circa 100 partecipanti veniva chiesto di completare un foglio di lavoro con 20 enigmi e veniva promesso loro 1 dollaro per ogni enigma risolto.
In seguito, i partecipanti allo studio dovevano compilare un modulo in cui riportare l’importo guadagnato grazie alla risoluzione degli enigmi. I partecipanti erano stati indotti a credere che un eventuale imbroglio non sarebbe stato scoperto, mentre in realtà i ricercatori potevano verificare quanti enigmi avevano risolto.
Lo studio aveva rilevato che i partecipanti erano molto più propensi a dichiarare onestamente i loro guadagni con i puzzle se attestavano l’accuratezza delle loro risposte nella parte superiore del modulo piuttosto che in quella inferiore.
Ma nel loro post sul blog, i dottori di DataColada, analizzando i dati che la dottoressa Gino e i suoi coautori avevano pubblicato online, hanno «citato una registrazione digitale contenuta in un file Excel per dimostrare che alcuni dei punti dei dati erano stati manomessi e che questa azione aveva contribuito a determinare il risultato».