Ricerca
lunedì 15 Luglio, 2024
di Gabriele Stanga
Un tunnel di origine lavica sotto la superficie lunare. È la scoperta di un team internazionale di ricerca, coordinato dall’Università di Trento, pubblicata dalla rivista scientifica Nature Astronomy. Uno studio che rappresenta una pietra miliare nella conoscenza della Luna: per la prima volta, infatti, è stata dimostrata l’esistenza di un corridoio nel sottosuolo del satellite. Si tratterebbe di un condotto di lava svuotato. «Queste strutture erano state ipotizzate da oltre 50 anni, ma è la prima volta in assoluto che ne dimostriamo l’esistenza» chiarisce Lorenzo Bruzzone, professore dell’Università di Trento e coordinatore della ricerca, che ha poi spiegato come si è arrivati alla scoperta : «Nell’ambito di una missione della Nasa il radar Miniature Radio-Frequency (Mini-RF) nel 2010 ha catturato una serie di immagini della superficie lunare. A distanza di tanti anni abbiamo analizzato queste immagini con complesse tecnologie di elaborazione dei segnali sviluppate recentemente nel nostro laboratorio e abbiamo scoperto che una parte delle riflessioni radar provenienti da un’area del mare della Tranquillità può essere attribuita a un condotto sotterraneo. Questa scoperta fornisce la prima prova diretta di un tunnel roccioso accessibile sotto la superficie della Luna». Alle sue parole fanno eco quelle di Leonardo Carrer, ricercatore dell’Università di Trento e primo autore dello studio: «L’analisi dei dati ha permesso di costruire un modello che rappresenta la parte iniziale del tunnel. È molto probabile che si tratti di un condotto di lava svuotato». Le implicazioni legate all’attività vulcanica, andranno valutate quando partiranno esplorazioni dei condotti: «Ci sono condotti simili anche sulla terra – spiega Bruzzone – All’interno di questo tunnel ci sono rocce allo stato naturale che non sono state corrette dalle radiazioni. Ne sapremo di più quando riusciremo ad entrare, potremo studiare anche l’evoluzione del mantello lunare, su cui sappiamo pochissimo e andare all’origine delle rocce lunari». Aggiunge un proprio commento anche il principal investigator del Mini-RF Wes Patterson, del Johns Hopkins Applied Physics Laboratory: «Questa ricerca dimostra sia come i dati radar della Luna possano essere utilizzati in modi nuovi per rispondere a domande fondamentali per la scienza e l’esplorazione, sia quanto sia cruciale continuare a raccogliere dati telerilevati sulla Luna. Ciò considerando l’attuale missione LRO, e auspicabilmente, le future missioni orbitanti». Allo studio, in parte finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, hanno partecipato anche ricercatori dell’Università di Padova e di La Venta Geographic Explorations APS che hanno contribuito in particolare all’analisi geologica e alla modellazione della cavità identificata. La scoperta ha impatto scientifico, ma anche notevoli implicazioni per lo sviluppo delle missioni sulla Luna, dove l’ambiente è ostile per la vita umana. Infatti, il lato esposto al Sole può raggiungere 127°C e quello opposto scendere fino a -173°C. La radiazione cosmica e solare, inoltre, è fino a 150 volte più potente di quella che si sperimenta sulla Terra. E poi c’è la costante minaccia di meteoriti. Di qui l’esigenza di trovare soluzioni per siti di allunaggio delle sonde o per la costruzione di infrastrutture protette, come potrebbero essere quelle realizzate nelle profondità della Luna: «Ci si aspetta che la superficie lunare possa ospitare migliaia di tunnel – continua il coordinatore – All’interno di queste cavità c’è una protezione naturale dalle condizioni esterne. Sappiamo che la temperatura potrebbe essere di -20 gradi e si pensa che questa non risenta dell’escursione termica della superficie, la quale non favorisce la presenza di uomini e astronauti. Strutture di questo tipo potrebbero semplificare la costruzione di basi. Si era ipotizzato anche che potessero fungere da vie di comunicazione». Le prove radar dei tunnel lunari diventano, quindi, di estrema importanza, sia per approfondire le conoscenze sull’estensione e sulla forma dei condotti, in vista dell’esplorazione attraverso future missioni robotiche, sia in funzione di una futura presenza umana sul satellite. «Finora non si potevano ipotizzare missioni perché non c’erano prove dell’esistenza di questi canali – conclude Bruzzone – Ora sappiamo che esiste una grotta che sicuramente ha un’apertura e si può esplorare. Quindi questo lavoro aiuterà. Si può pensare ad una missione con un paio di radar per fare una mappatura e penetrare all’interno, non solo in prossimità».
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