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domenica 17 Marzo, 2024

Sybilla e il caso delle startup d’oro che il Trentino si lascia scappare

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Dal Cibio sono nati spin-off delle biotecnologie, ma per trattenere le imprese serve un hub. Migrata a Milano, Sybilla ha un accordo da 300 milioni con il colosso Ono Pharmaceutical

Ci sono le idee, ma non gli spazi per trasformarle in imprese. Ci sono i capitali, ma non hub di innovazione per trattenerli. L’ossimoro tutto Trentino trova sintesi in un caso specifico: quello della startup Sybilla Biotech. L’eccellente ricerca nata nei laboratori del Cibio di Trento e l’investimento pubblico che l’ha sostenuta, portano i loro frutti altrove. Un anno fa, dopo il round da 23 milioni guidato da V-Bio Ventures, si è trasferita a Milano. Il motivo? I fondatori aspettavano gli spazi adeguati a sostenere la fase di scale-up, come l’hub delle biotecnologie di cui si parla da oltre 15 anni. Non è arrivato in tempo, e quindi la società ha fatto i bagagli. Una notizia ancora più amara oggi. Qualche giorno fa, infatti, la startup ha annunciato una collaborazione per la scoperta di farmaci con la casa farmaceutica giapponese Ono Pharmaceutical. Una partnership da centinaia di milioni di dollari (circa 300), che spiana la strada alla corsa di Sybilla. Un’azienda con un progetto multimilionario, sviluppata in tutto e per tutto dalla ricerca trentina, è andata a crescere altrove.


L’accordo annunciato da Lidia Pieri, co-fondatrice e amministratore delegato, è un classico per il settore. Quando un’azienda piccola – come nel caso di Sybilla – si affaccia nel mondo del business con idee di portata dirompente, un’azienda farmaceutica può decidere di capitalizzare su quella tecnologia. E si chiude un accordo di co-sviluppo. In sostanza, la casa farmaceutica demanda la ricerca di base e l’innovazione alla startup. In questo caso Ono Pharmaceutical provvede alle risorse e all’esperienza nel campo dello sviluppo dei farmaci e Sybilla mette in campo la sua tecnologia, chiamata «Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediates Targeting».

Il sistema scoperto dai ricercatori del Cibio permette di identificare e sviluppare candidati farmaci per diversi obiettivi terapeutici nel campo dei disturbi del sistema nervoso centrale. È potenzialmente così innovativo per pazienti affetti da gravi disturbi neurologici che il colosso farmaceutico giapponese ha fatto una scommessa da centinaia di milioni di dollari statunitensi. Questi saranno «suddivisi in un pagamento anticipato per l’accesso alla tecnologia e in diversi pagamenti al raggiungimento di obiettivi di ricerca, sviluppo e vendita, oltre a percentuali sulle vendite». La cifra finale potrebbe aggirarsi intorno a 300 milioni di euro, se il percorso arriverà all’obiettivo. Il progetto ha un raggio piuttosto lungo. Si parla di un’aspettativa di diversi anni, visto che la partnership segue tutta la filiera del farmaco, dalla scoperta all’immissione sul mercato.

Nato nei laboratori del Cibio di Trento, nel 2017 il progetto di ricerca è divento startup. A portarla avanti in provincia da Lidia Pieri, Pietro Faccioli, Emiliano Biasini, Giovanni Spagnolli, Graziano Lolli e Letizia Barreca. Il primo investimento, da 2,4 milioni, è arrivato nel luglio 2019. Ad ottobre 2022 l’annuncio del round da 23 milioni chiuso da Sybilla con investitori italiani ed estero. Da quel momento la crescita è stata verticale. Sono aumentate le risorse umane (oggi conta una trentina di persone), la ricerca ha accelerato e ora è stato chiuso l’accordo con Ono Pharmaceutical.
A guardarla così sembra una storia di successo e di vanto per il Trentino. Lo è in parte. Perché da settembre dello scorso anno Sybilla si è trasferita a Milano, nell’Open Zone, un hub biotech aperto dal gruppo farmaceutico Zambon. Ha trovato in Lombardia, regione in cui ha sede e in cui paga le tasse, la massa critica di imprese biotecnologiche che in provincia non ha trovato e che gli investitori richiedevano.

Le eccellenze nate dalla ricerca trentina in ambito biomedicale non sono poche. Sybilla è la stella più luminosa nata dal Cibio, ma non l’unica. Immagina, avviata da Massimiliano Clamer, attiva nello studio dell’Rna e dei ribosomi, presidia un settore di nicchia con un mercato mondiale ed è valutata 12 milioni di euro. Alia Therapeutics, specializzata in terapie innovative per le patologie genetiche rare attraverso la tecnologia di editing genico, un anno fa ha chiuso un nuovo round da 4,5 milioni con Sofinnova. PreBiomics, già finanziata dall’European Research Council, ha sviluppato un kit innovativo di previsione, analisi e diagnosi del microbioma orale. Yore, impresa innovativa avviata da 4 studenti di magistrale e dottorandi dell’Università di Trento che realizza un cerotto biotecnologico per rimuovere i tatuaggi in maniera indolore e senza causare cicatrici. Trentino Sviluppo continua a supportare le realtà. Immagina srl ha trovato casa a Pergine anche grazie a uno sforzo della Provincia. Alia Therapeutics è in attesa di collocarsi anche lei nello stesso edificio, nella porzione rimasta vuota. Ma il contesto resta frammentato e al Cibio lo spazio per ospitare nuove startup scarseggia. Eppure, sarebbe proprio lo spazio – hub di concentrazione di imprese e saperi dello stesso settore – a permettere alle startup incubate di trasformarsi in imprese senza lasciare il Trentino.

In Trentino si parla da ormai 15 anni di un centro per le biotecnologie a regia pubblica. Un esperimento come lo Human Technopole di Milano e l’Iit di Genova. L’idea iniziale era di trasferire tutte le strutture del Cibio negli spazi di Progetto Manifattura, nei quali ricavare anche laboratori e aule dedicati agli spin-off e a startup biotech. Un progetto lungimirante, ma in uno spazio non idoneo. Del tema è tornata ad interessarsi la giunta nella scorsa legislatura. L’assessore allo sviluppo economico e ricerca Achille Spinelli ha lanciato il Polo delle scienze della vita. Il protocollo d’intesa tra Provincia, Trentino Sviluppo, Università di Trento e Fondazione Hit risale al 2021 e l’ultimazione della struttura era prevista per il 2023. Ma per ora il progetto è solo sulla carta. L’hub sostitutivo, in spazi di Pergine Valsugana, tarda da tre anni. Un arco di tempo che corrisponde a un’eternità per una startup. Tanto più quando si tratta di uno dei settori più innovativi e dinamici dell’economia italiana e il più attrattivo per gli investimenti.

C’è chi esterna la preoccupazione che il caso Sybilla possa replicarsi. Il timore è che lo scollamento tra ricerca e impresa faccia perdere al Trentino startup (e menti) d’oro. Un presagio che incombe anche in altri settori. Basti pensare al caso di Enegy spa, che opera in un altro settore strategico: quello delle batterie. Incubata in Progetto Manifattura, realizzerà la Gigafactory italiana di batterie per sistemi di accumulo di energia da fonte rinnovabile, in joint venture con il colosso cinese Pylon Technologies Europe Holding, nella sede di Padova.