Il personaggio
sabato 13 Maggio, 2023
di Simone Casciano
A Trento è arrivato un gigante. «Un gigante della ricerca» così la Fondazione Pezcoller ha definito Tak Wah Mak vincitore dell’edizione 2023 del prestigioso premio arrivato nel capoluogo proprio per la cerimonia di premiazione in programma oggi alle 10 al teatro sociale. Tak Mak è uno scienziato di origine cinese e di nazionalità canadese, formatosi scientificamente negli Stati Uniti e professionalmente in Canada a Toronto, la cui influenza ha trasformato il campo della ricerca sul cancro e spalancato la porta ai trattamenti immunoterapeutici. In particolare deve la sua fama al lavoro effettuato sulle Cellule T, le «cellule killer» del nostro sistema immunitario, capaci di attivarsi per respingere virus e, grazie al lavoro di Mak, anche i tumori. Proprio queste scoperto lo hanno portato a vincere il premio Pezcoller da 75 mila euro assegnato dall’omonima fondazione in collaborazione con l’associazione americana di ricerca sul cancro (AACR). «Siamo molto orgogliosi di consegnare il premio a un ricercatore così prestigioso», ha detto il presidente della Fondazione Enzo Galligioni. Tra i 26 vincitori del premio nel corso delle edizioni, 4 si sono aggiudicati anche il Nobel: «A testimonianza — sottolinea Galligioni —della rigorosa scelta dell’eccellenza che accompagna il nostro giudizio». Il premio è il fiore all’occhiello dell’impegno della fondazione ma non l’unico: «C’è il riconoscimento per i giovani ricercatori, quello per le donne nella ricerca e poi le borse di studio, complessivamente l’impegno economico solo per il 2023 è di 455mila euro». Arrivato a Trento per ricevere il premio Tak Mak tradisce un po’ di emozione per questo riconoscimento, fiore all’occhiello di una carriera passata a fare ricerca sul cancro.
Professor Mak che cosa prova a ricevere il Pezcoller?
«Voglio ringraziare la fondazione e l’Aacr per questo premio. Sono profondamente onorato e lo accolgo con grande umiltà. C’è un proverbio africano che dice: “Se vuoi andare veloce vai da solo, ma se vuoi andare lontano devi camminare insieme”. Questo detto l’ho fatto mio e nella mia carriera ho sempre lavorato in gruppo e devo ringraziare i 150 ricercatori che mi hanno accompagnato nei miei 40 anni di carriera».
Ci spiega in che modo il suo lavoro sulle cellule T ha rivoluzionato il campo delle cure per il cancro?
«Sono più di 100 anni che combattiamo con i tumori. Per molto tempo lo abbiamo fatto con la chirurgia, la radio-terapia, la chemio e i farmaci antitumorali. Negli ultimi 20 anni siamo riusciti ad aprire il campo permettendo anche al nostro sistema immunitario di diventare il quarto pilastro della nostra difesa contro il cancro».
In che modo ci siete riusciti?
«È stata fondamentale l’intuizione di isolare il gene del recettore dei linfociti T, un componente chiave del sistema immunitario e poi capire come attivarlo e indirizzarlo per combattere specifici nemici».
Che risultati avete ottenuto?
«L’immunoterapia si è rivelata efficace contro il melanoma, il tumore del polmone, quello della vescica e quello del rene ma c’è ancora molto lavoro da fare».
Perché?
«Ci sono ancora dei tumori che non rispondono bene a questa tecnica. Bisogna continuare a lavorare, dobbiamo trovare il nostro supereroe, il nostro Jason Bourne. La cellula killer capace di uccidere anche il cancro al seno, quello al pancreas e quelli cerebrali»
C’è ancora molta strada da fare?
«Assolutamente sì e dobbiamo esplorare ogni possibilità. Capire come addestrare le cellule T a individuare quelle tumorali e eliminarle. Come diceva Richard Feynman: “Dobbiamo trovare risposte per cui non abbiamo domande e domande per cui non abbiamo risposta”. Andare oltre i nostri limiti con l’obiettivo di salvare più bambini e persone malate di cancro di quante ne curiamo oggi».
Come vede il futuro della lotta al cancro?
«La prossima generazione di contrasto sarà il frutto di una combinazione tra l’immunoterapia e gli altri pilastri: radioterapia e farmaci».
E i vaccini?
«I vaccini si sono dimostrati estremamente efficaci nel contrastare tumori di origine virale come nel caso dell’epatite e del papilloma virus. Per cui abbiamo vaccini da più di 20 anni. Per il resto c’è bisogno di maggiore approfondimento per comprendere come potrebbero funzionare dei vaccini per tumori che non sono di origine virale».
Professore ci riporta a 40 anni fa? Quando nel 1984 riuscì a isolare le Cellule T, che emozione fu?
«Avevo appena 30 anni e stavo a Toronto. Quanto abbiamo scoperto i recettori T eravamo molto sorpresi perché in quel tempo tante persone li stavano cercando. Per fortuna proprio mentre noi isolavamo i recettori nell’uomo, Mark Davis a Stanford aveva fatto la stessa cosa nei topi e scoprimmo che il funzionamento era lo stesso. E il mondo accademico iniziò a credere che eravamo sulla strada giusta. Devo ammettere che a 30 anni non avevo pianificato di fare una scoperta del genere e non avevo un programma chiaro su come procedere, ma avevamo tantissimi collaboratori che sono stati capaci di portare avanti il nostro lavoro. Abbiamo mandato le nostre informazioni a 700 laboratori affinché espandessero la nostra conoscenza del sistema immunitario. Fu un periodo frenetico ma tante persone e tante istituzioni ci aiutarono. Alla fine, era una sensazione strana, non era più solo il mio lavoro, ma quello di una comunità intera».
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