L'esperto
martedì 8 Ottobre, 2024
di Lorenzo Fabiano
Lorenzo Fabiano
Missili su Israele, la risposta degli Ayatollah è arrivata. Più scenica e propagandistica che altro, vista l’efficacia dell’Iron Dome, il sistema antimissilistico israeliano, ma la paventata escalation del conflitto mediorientale è ora a meno che un passo: «Ormai sì, è così. Ora bisogna vedere quale sarà la reazione di Israele, che potrebbe arrivare nei prossimi giorni, se non già nelle prossime ore», spiega il professor Pejman Abdolmohammadi, docente alla Scuola di Studi Internazionali all’Università di Trento e collaboratore del nostro giornale.
Professore, che reazione dobbiamo attenderci?
«Un attacco sul suolo iraniano, su zone logistiche giacimenti petroliferi e centrali elettriche come target principali. Terza possibilità i siti nucleari. L’Iran non è Hamas, che usa la popolazione come scudo, e Netanyahu starà quindi molto attento a non fare errori».
L’Iran aveva sempre detto di voler tenersi fuori dalla guerra, ma ora questo attacco cambia tutto.
«È un attacco del tutto illogico. Penso sia l’azione più irrazionale mai compiuta da un attore solitamente molto razionale come la Repubblica Islamica che ha un sistema di intelligence bucato che la rende più vulnerabile di fronte a Israele. Davvero non so con quale coraggio abbiano attaccato. Era quello che voleva Netanyahu, e così fanno il suo gioco. Usano l’attacco come propaganda mostrando i filmati dei bambini di Gaza che gioiscono ed esultano per l’arrivo del salvatore iraniano contro il demone israeliano, ma poi al loro interno impiccano giovani di vent’anni che si battono per la libertà. Che credibilità possono avere?».
Uno degli obiettivi di Netanyahu è la nascita di un nuovo Medioriente che prevede la caduta del regime di Teheran. Qual è la reale forza della Repubblica Islamica dell’Iran?
«La Repubblica Islamica è molto debole, particolarmente all’interno dei suoi confini. L’80% della popolazione è contro. Chiaramente, è molto più forte all’esterno, anche grazie a quel mondo che sbandiera l’antimperialismo e l’antiamericanismo e a milizie islamiche all’estero amiche. C’è una polarizzazione in atto, tra chi ancora vuol mantenere questo status quo e chi invece è stanco di essere ostaggio di questi autoritarismi».
Il mondo sunnita gli Ayatollah sciiti li vede col fumo negli occhi. Paradossalmente, Israele si trova ad avere una parte del mondo arabo che lo sostiene. Che ne pensa?
«Più che una questione tra sunniti e sciiti, c’è una parte di Medioriente che non vede bene questa instabilità. Le popolazioni sono provate da questa situazione e alcuni attori come l’Arabia Saudita, Emirati e Qatar per ragioni di opportunismo vogliono cercare di utilizzare questo momento per stabilizzare il loro sistema di potere: gli fa buon gioco che Israele colpisca la Repubblica Islamica e suoi proxy, però…».
Prego.
«Non credo che questi Paesi, che non dimentichiamo sono sistemi autoritari, mica dei santi, siano favorevoli agli intenti di Israele; un nuovo Iran laico e democratico sarebbe chiaramente un competitor per l’Arabia Saudita, e anche per lo stesso Azerbaijan, pensiamo ad esempio al gas naturale e a tante altre cose. Ci sono molti attori regionali che non vorrebbero la nascita di un nuovo Iran. Diciamo quindi che Netanyahu sta agendo da solo e sta facendo una cosa che a livello strategico, se avrà successo, rimarrà straordinaria nella storia».
Al prezzo di una strage di innocenti a Gaza, però.
«Certo, non si può chiudere gli occhi dinanzi all’evidenza. La strage di civili a Gaza è il suo grande errore».
L’Iran fornisce droni alla Russia in Ucraina; la posizione del Cremlino?
«Il primo ministro russo era a Teheran il giorno prima dell’attacco. Chiaro che la Repubblica Islamica abbia attaccato con il benestare di Putin. D’altronde, non farebbe niente senza il benestare dei due grandi padrini globali, la Russia sulla questione militare e la Cina su quella economica».
Esiste allora il rischio che i due conflitti in Ucraina e in Medioriente convergano portando così al disastro totale di una Terza Guerra Mondiale?
«Non credo andrà a finire così, ma il rischio c’è. È innegabile, ed è da un anno che lo dico».
Netanyahu sembrava politicamente finito, e invece…
«E invece sta crescendo sempre di più, sebbene non piaccia a quel mondo pienamente ideologizzato che in testa ha sempre l’antiamericanismo e l’antioccidentalismo. Storia trita e ritrita: nel 1978 Michel Foucault, che detestava il sistema capitalistico americano, parlava benissimo di Khomeini».
L’Europa non tocca palla, l’Onu è morto a Srebrenica nel 1995, e gli Usa?
«L’Onu è imbarazzante, ma se siamo arrivati a questo punto il fallimento è anche dell’Europa e degli Stati Uniti. L’Europa ha avuto due ministri degli esteri come Federica Mogherini e Josep Borrell che invece di aiutare il processo della democratizzazione in Medio Oriente, chiudere i rubinetti e cercare di fare delle pressioni sugli autoritarismi, addirittura andavano a nozze con loro. Mogherini andava in Iran mettendosi il velo e dicendo di rispettare la cultura di un popolo, ma si trattava di un popolo che è vittima dell’imposizione di un sistema autoritario; di fronte all’uccisione dei giovani iraniani, Borrell non ha voluto applicare sanzioni sui Pasdaran; dopo che hanno massacrato quei giovani, Biden ha scongelato all’Iran sei miliardi di dollari un mese prima del 7 ottobre. “Unintended consequences” significa non voler fare delle cose ma provocarle. Sia pure indirettamente, in realtà la politica degli Stati Uniti e dell’Europa ha favorito i radicalismi».
Che succede se le elezioni americane le vince Donald Trump?
«So di attirarmi critiche, ma l’unico a salvarsi in politica estera è lui. Hanno avuto qualche screzio in passato, ma per Netanyahu Trump sarebbe un supporto. Oggi Netanyahu gioca sulla debolezza delle elezioni americane e sul fatto che c’è questa divisione interna in America; siccome sa che Kamala Harris potrebbe vincere e che l’establishment democratico lo potrebbe fermare, Netanyahu ha anticipato l’azione che ha portato all’uccisione di Nasrallah a Beirut. Pensavo avvenisse tra un paio di mesi».
Che futuro vede?
«Un futuro tra realtà e fiaba. C’è un Medioriente possibile; oggi passa purtroppo da un travaglio con vittime civili palestinesi, libanesi, israeliane e prima anche persiane, ma nascerà. Siamo alla vigilia di un grande cambiamento per il Medioriente nei prossimi due anni. Voglio pensare positivo».
L'INTERVISTA
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Il professore emerito del dipartimento di Sociologia commenta i dati Ocse: «La cultura scolastica è sconnessa dalla realtà economica, sociale e culturale. Non si crea l’abitudine a leggere e informarsi»