Il reportage
sabato 8 Febbraio, 2025
di Alberto Folgheraiter
Due libri: «Zortea» e la Bibbia. L’uno scritto bene e documentato meglio da Diego Leoni, professore di storia e appassionato ricercatore. L’altro, il libro dei libri, scritto da Dio (e dai suoi profeti) più di tremila anni fa. Apocalittico quanto basta e attuale quanto serve.
L’uno sulla scrivania di casa nostra; l’altro, aperto alle pagine dei «Salmi», sul tavolo da cucina di una coppia di Zortea. Di «gran brave persone» come indica, solare, Alfonso Parisi, 55 anni, arrivato da Bari per lavoro in un albergo, a San Martino di Castrozza e qui rimasto dopo aver trovato l’anima gemella. Alfonso è il gestore del punto vendita della Coop a Zortea, villaggio di 191 anime, nella valle del Vanoi, adagiato sull’erta stretta e tortuosa come il sentiero della vita che i Testimoni di Geova di qui hanno patito e subito.
I «testimoni», Giuseppe e Nella
Eccoci, dunque, «Testimoni» per un frammento con Federico Nardelli, suonare alla porta di una bella villetta dalla quale lo sguardo si allarga sull’intera valle dei Vanoi accarezzata dal sole di febbraio. Al cancello non c’è, come ci fu per lungo tempo sugli stipiti di molte porte, il perentorio monito: «No Testimoni di Geova». Anche perché i «Testimoni» sono loro, Giuseppe Boso (1949) e sua moglie Nella Alma Zortea (1950). Hanno lavorato a lungo nel settore turistico, fra alberghi di classe e ristoranti stellati. E quando finirono davanti all’altare… del sindaco, nel 1976, lo scandalo fu grande. «Fortuna che a smorzare i sussurri e le grida ci fu, nel pomeriggio, un secondo matrimonio civile, quello del medico condotto». Era l’8 maggio, due giorni dopo il terremoto del Friuli e le scosse, non solo telluriche, turbarono i «buoni cristiani» anche di qui. Don Vigilio Covi (1944), che fu parroco a Zortea dal 1975 al 1982, li voleva sposare, di nascosto, in casa. «Abbiamo detto no. Non abbiamo nulla da nascondere, siamo felici del nostro matrimonio. Ci siamo sposati in comune con i nostri genitori e i testimoni».
Andate ancora in giro a fare opera di proselitismo? «Certo, no proselitismo ma opera di testimonianza». «Parliamo con le persone». Vi accolgono, senza problemi? «Certamente». Non c’è più l’ostracismo di un tempo nei confronti dei Testimoni di Geova? «Assolutamente no».
Forse perché la secolarizzazione ha sgretolato il mondo cattolico, c’è stato di mezzo un Concilio ecumenico (1962-1965) e i pochi praticanti (15%?) hanno altro a cui pensare che non a far guerre di religione.
Oddio, qualche «crociato» c’è ancora, proprio nel Primiero, ma sono presenze residuali. Oggi nel Primiero-Vanoi i «Testimoni» sono alcune decine. La «Sala del Regno», la loro chiesa, è a Imer.
La presenza a Valline
Wilma Loss, responsabile dell’Ufficio turistico di Canal San Bovo, conferma che a Zortea, nonostante l’ostracismo durato mezzo secolo, ci sono ancora alcune famiglie (oltre alla coppia Boso-Zortea) che fanno parte del gruppo dei Testimoni di Geova. Vivono a Valline, poche abitazioni lungo la strada che sale al lago di Calaita.
A suo tempo, don Vigilio Covi si è battuto a lungo nel «mettere alla luce le opere delle tenebre nelle quali si trovano coinvolte molte persone» (dall’opuscolo «Notizie sui Testimoni di Geova», uno dei tanti da lui scritti nel ritiro di Tavodo dove vive dal 1982). Niente, in confronto alla persecuzione, sfociata col confino e approdata nel lager nazista di Bolzano per i primi «divulgatori dell’eresia». La «mala pianta» era stata importata qui nel 1933 da Narciso Stefenon, tornato a casa dalle miniere del Belgio dove era stato «convertito» dal «pioniere» polacco André Wozniak, minatore pure lui.
Scrive Diego Leoni («Zortea», 2024) che al censimento del 1936 Zortea «risultava abitato stabilmente da 176 persone: i sopravvissuti a quella “disordinata emigrazione” che tanto assomigliava a una violenta “mareggiata”. L’eresia veicolata da Narciso Stefenon era già arrivata in Bassa Valsugana fin dal 1903, importata dai Carraro di Villa Agnedo e dai Tiso di Samone, due famiglie di commercianti che, nel loro girovagare per l’Europa, avevano abbracciato il credo evangelico.
«I matti della Bibbia»
Nell’ottobre del 1936 vi fu una retata contro i Testimoni di Geova del Vanoi. Li chiamavano «i matti della Bibbia». Otto Testimoni furono mandati al confino, tre furono ammoniti. «Fra il 20 e il 21 settembre 1937, tutti gli arrestati furono interrogati in Questura a Trento e sottoposti all’umiliante rito della confessione» (D. Leoni, p. 205). Cinque di loro, e tra questi Francesco Zortea, lo zio di Alma, confermarono «la scelta dell’abbandono della Chiesa cattolica». Altri 6 fecero abiura. «Dietro al rito c’era un celebrante, anzi più d’uno che agivano in simbiosi: il curato di Zortea (per conto del vescovo, il cappellano Luigi Demattè, 1905-1980), il carabiniere e il poliziotto (per conto del questore e del prefetto)».
Nel manicomio per delirio religioso
Francesco Zortea fu internato nel manicomio giudiziario di Reggio Emilia dove lo psichiatra che lo ebbe in cura scriveva: «Persiste florido ed immutevole il suo delirio religioso. Calmo, socievole e bene orientato». Trasferito in una casa per minorati fisici e psichici, come altri «Testimoni» di Zortea fu poi consegnato nelle mani dei tedeschi e internato nel lager di Bolzano. Francesco Zortea morì nel 1977. Sulla sua tomba, nel cimitero del villaggio, è scritto: «Qui riposa il Testimone di Geova Zortea Francesco in attesa di resurrezione».
Luigi Zortea e la sciagura aerea
Nel medesimo cimitero c’è il cenotafio di «Luigi Zortea, nato a Cicona di Canal San Bovo il 27 ottobre 1942, scomparso nell’oceano Atlantico nella sciagura aerea del volo AF 447 Rio de Janeiro-Parigi il 31 maggio 2009. Era sindaco di Canal San Bovo».
Tornava (assieme a Rino Zandonai e Giovanni Battista Lenzi) da una visita ai figli dell’emigrazione in Brasile. Sono 900 i «brasiliani» pronipoti degli emigrati dal Vanoi iscritti all’Aire, l’anagrafe degli emigrati italiani all’estero. Luigi Zortea si era battuto per frenare l’esodo con un «premio di nuzialità». Due milioni di lire a chi si sposava e restava in valle.
Nei villaggi del Vanoi ci sono in giro molti fiocchi rosa. Wilma Loss, la cicogna predilige le femmine? «No, li abbiamo messi a maggio dell’anno scorso per il passaggio del Giro d’Italia». Chiarito l’equivoco andiamo dal sindaco, Bortolo Rattin. «Come amministrazione abbiamo cercato di mantenere, almeno, l’attuale andamento demografico».
Nel 1890 c’erano 3.790 abitanti, oggi sono 1.475. «Con le nostre forze non riusciamo a invertire il trend anche per la presenza maggioritaria di anziani. Possiamo tentare col far venire qui giovani coppie. Nel 2021, in collaborazione con la Provincia, abbiamo avviato il progetto «Coliving». La risposta è stata enorme. Abbiamo avuto la richiesta di un alloggio (in comodato gratuito per 4 anni) da parte di 97 famiglie. Abbiamo potuto dare alloggio a 5 famiglie. Una ha già acquistato casa, un’altra è in fase di acquisto. Altre stanno cercando».
Alfonso Parisi, che ha lasciato Bari e piantato radici a Zortea, ha due figli ormai grandi (uno è maestro di sci e preparatore atletico, l’altro lavora a Bassano). «Zortea è una comunità minuscola, tuttavia c’è il negozio della Famiglia Cooperativa. Noi facciamo tanti sacrifici per tenerla aperta. Tutti i giorni vado a prendere i giornali fuori dalla galleria sotto il Totoga, alla fermata dei pullman, per un guadagno di 3 euro».
Il tunnel di 3,350 km, costato 25 miliardi delle vecchie lire, fu aperto nel 1994.
Non servì, o non del tutto almeno, a frenare l’esodo. Creando un rapido collegamento con il Primiero, però, ha fatto da barriera. A proposito: tutta la valle è tappezzata di cartelloni con la scritta: «No diga sul torrente Vanoi».
Il sindaco Bortolo Rattin: «Questa richiesta inaspettata, questa ingerenza del Veneto, non andrà in porto. Lo stesso governatore Zaia ha detto in questi giorni che non c’è sicurezza e la diga non si fa».
Il disastro del Vajont e i duemila morti del 9 ottobre 1963 forse hanno insegnato qualcosa.
i numeri
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