L'intervista

lunedì 13 Gennaio, 2025

Tezzele (igiene pubblica): «Latte crudo? Stagionatura decisiva, sotto un anno i batteri possono vivere»

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L'esperto dell'Azienda Sanitaria trentina: «Necessaria l'etichetta che sconsiglia il consumo sotto i 10 anni di età»

«La regola deve essere chiara: il formaggio a latte crudo con una stagionatura inferiore a 12 mesi non può essere mangiato da bambini e soggetti fragili. Oggi, purtroppo, non c’è questo obbligo: è una grave lacuna da colmare». A dirlo è Roberto Tezzele, alla guida dell’Unità operativa di igiene e sanità pubblica veterinaria dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari (Apss).

Direttore, che cos’è il formaggio a latte crudo?
«Il processo di trasformazione da latte a formaggio prevede un riscaldamento della massa e l’aggiunta del caglio. Si parla di formaggio a latte crudo quando la massa (il latte) non raggiunge la temperatura di pastorizzazione, cioè 72 gradi per 15 secondi oppure un intervallo di temperatura equivalente, ad esempio 65 gradi per un periodo più lungo. Questo trattamento termico blando non riesce a uccidere gli eventuali patogeni presenti nel latte. Dunque, quando non c’è la pastorizzazione, i batteri possono rimanere nella cagliata (cioè il prodotto intermedio ottenuto dall’aggiunta del caglio al latte riscaldato)».

Ci pensa la stagionatura a uccidere i batteri?
«Dipende. La stagionatura deve durare almeno 1 anno per essere sicura, cioè per inattivare i batteri. Quando invece la stagionatura è inferiore a 12 mesi, per quanto i controlli possono essere minuziosi, il formaggio può sempre contenere batteri. I batteri più subdoli sono quelli dell’escherichia coli».

Perché?
«Perché ne bastano pochi per provocare l’infezione intestinale, che può portare anche alla sindrome emolitico-uremica, cioè una compromissione dell’apparato renale. Al contrario l’infezione da salmonella, ad esempio, richiede un gran numero di batteri».

Qual è la stagionatura del Puzzone di Moena?
«Normalmente la stagionatura è di 60 giorni, poi ci sono alcune tipologie con una stagionatura di 150 giorni. In ogni caso non è una stagionatura sufficiente a garantire l’assenza di batteri. Per questo motivo tutti i formaggi a latte crudo che non sono sufficientemente stagionati non devono essere somministrati ai bambini con meno di 10 anni, alle donne in gravidanza e agli immunodepressi, cioè quelle fasce di popolazione che non hanno un sistema immunitario tale da resistere ai batteri».

L’ultimo caso riguarda un bambino di 9 anni: siamo proprio al limite della soglia anagrafica di sicurezza. È un’anomalia?
«No, sotto i 10 anni il formaggio a latte crudo può essere dannoso per tutti i bambini. Naturalmente la gravità è inversamente proporzionale all’età: se quel formaggio fosse stato mangiato da un bambino di 2 anni la sintomatologia sarebbe stata più grave. Nei bambini l’infezione da escherichia coli può portare anche a lesioni mortali o permanenti».

I produttori sono tenuti a informare i consumatori su questi rischi?
«No, questo è il problema. Oggi bisogna solo scrivere che si tratta di un formaggio a latte crudo. Ma se un cliente va al banco del supermercato non sa qual è quello a latte crudo e forse non lo sa neanche il banconiere. Questa è una grossa lacuna da colmare. Dovrebbe esserci l’obbligo di scrivere sull’etichetta che il formaggio non può essere consumato dai bambini e dagli immunodepressi. Ora è stato depositato un disegno di legge che va in questa direzione, speriamo…».

A livello provinciale qual è la situazione?
«Qualche produttore lo scrive già sull’etichetta. E con il consorzio del Puzzone di Moena abbiamo concordato di inserire questo messaggio: “Il suo consumo è assolutamente sconsigliato ai bambini sotto i 10 anni e ai soggetti fragili”. I produttori trentini, comunque, si sono dati una serie di regole che da altre parti d’Italia non ci sono. Mi sento di dire che il sistema trentino sta facendo tutto il possibile: controllare ogni singola cagliata è un grosso sforzo. Da questi controlli emerge che il 5% delle cagliate contiene il batterio: queste vengono vendute solo dopo altri controlli e dopo un periodo di stagionatura più lungo. Ma in biologia il rischio zero non esiste».

Quanti casi di infezione da escherichia coli si registrano in Italia?
«Ci sono circa 70-80 casi all’anno e probabilmente siamo di fronte a un dato sottostimato perché non è una patologia obbligatoria da segnalare. In Germania ci sono circa 400 casi all’anno e la popolazione è simile a quella italiana».