Il personaggio
sabato 28 Gennaio, 2023
di Katia Dell'Eva
C’è un po’ di Trentino in una delle cinquine dei prossimi Oscar. Si tratta di Tiziana Poli, classe 1982, nata a Trento, ma da dieci anni residente a Roma, assistente artistica alla regia per il cortometraggio Le pupille di Alice Rohrwacher. Il corto, una storia di innocenza, ingordigia e fantasia che si svolge durante la Seconda guerra mondiale in un orfanotrofio femminile gestito da suore, prodotto da Tempesta ed Esperanto Filmoj per Disney e in esclusiva su Disney+, se la giocherà nella notte di celebrazioni del prossimo 12 marzo con An Irish Goodbye di Ross Whit e Tom Berkeley, Ivalu di Anders Walter, Night Ride di Eirik Tveiten e The Red Suitcase di Cyrus Neshvad. Per l’occasione abbiamo parlato con Poli di questi mesi di lavoro, del suo percorso professionale e delle sue aspettative sul futuro.
Ci racconti meglio di questo lavoro con Alice Rohrwacher.
«Per Le pupille ho lavorato nel ruolo di assistente alla regia. In realtà, si è trattato di un’assistenza più artistica di quella che normalmente richiede il ruolo: ho potuto seguire il progetto dall’inizio, dalla preparazione, fino alla sua conclusione, dall’idea al film finito. In fase di preparazione e riprese mi sono occupata della comunicazione artistica con i vari reparti».
Era il vostro primo lavoro?
«No, avevamo già lavorato assieme per Lazzaro felice e per il documentario a tre mani di Alice Rohrwacher, Pietro Marcello e Francesco Munzi, Futura. Con il film Le Pupille si è instaurato un rapporto di maggiore fiducia, più maturo. Alice tende a consolidare i suoi rapporti lavorativi con le persone con cui entra in sintonia e a portarli avanti nel tempo, creando una sorta di comunità fidata».
E andrete assieme agli Oscar?
«Non credo… Spero però che Le pupille abbia il riconoscimento che si merita perché si tratta di un piccolo gioiellino, frutto di un gran lavoro di tutti i reparti e quindi di un rapporto molto stretto della squadra di Alice – tra parentesi composta prevalentemente da donne –. Le bambine protagoniste del film sono state eccezionali così come i loro genitori che hanno avuto la pazienza di sopportare le esigenze del cinema e ci hanno messo una dedizione fuori dal comune».
Che percorso l’ha portata a questa professione?
«Ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ho avuto il mio primo contatto con la fotografia e il video, inteso come espressione artistica. Poi ho studiato regia alla ZeLIG di Bolzano, dove ho conosciuto Pietro Marcello. Da lì mi sono trasferita a Roma lavorando a stretto contatto con lui. Così è iniziato il mio viaggio nel mondo del cinema».
Marcello e Rohrwacher. Cosa le hanno insegnato?
«Sono stati e sono entrambi grandi maestri per me. Si tratta di due registi molto diversi tra loro, ma in alcune cose simili: penso ad esempio al loro rapporto e scambio continuo con la vita reale. Lui viene dal documentario ed è molto legato a questo linguaggio, e lei, dalla realtà, ne è sempre molto ispirata. Da loro ho imparato anche il bisogno di raccontare; il non essere mai sazi; la necessità di ricercare sempre, che si tratti di un linguaggio nuovo, di un’immagine, di un’espressione; la fantasia di immaginare, sempre».
Qual è la più grande difficoltà del suo lavoro?
«Avere a che fare coi registi (scherza n.d.r.). No, parlando seriamente, è avere sempre sotto controllo tutto e far comunicare i reparti. È un aspetto che causa grande stress, ma anche tanta adrenalina».
Quando nasce la sua passione per il cinema?
«Ci sono arrivata da abbastanza grande, in realtà: non sono figlia d’arte e in famiglia non c’era una grande cultura del cinema. Ho iniziato a guardare i film da ragazza e la folgorazione l’ho avuta con Arancia meccanica di Stanley Kubrick, in sala. Ancora però non avevo l’idea di voler lavorare nel settore».
E vorrebbe passare alla regia un giorno?
«Il mio ruolo in questi anni mi ha dato grandi soddisfazioni, ho avuto la possibilità di creare uno scambio continuo con registi di cui condivido l’idea artistica. Fare il/la regista comporta grandi responsabilità, innanzitutto nei confronti del pubblico. Non lo escludo, quindi, ma fino ad ora sono stata soddisfatta della mia posizione».
Con il Trentino che rapporto le rimane?
«Ambivalente. È il luogo familiare, in cui torno per stare con i parenti e gli amici e di cui mi manca spesso la bellezza naturale. Ma è anche un posto che sento un po’ stretto, in termini culturali».