L'intervista
mercoledì 24 Aprile, 2024
di Ottilia Morandelli
Tosca Giordani si ricorda tutto, è lei stessa a dirlo: «Non dimentico gli anni del fascismo, è tutto impresso nella mia mente anche se ho 102 anni». Classe 1922, è l’ultima staffetta in vita in Trentino. Una vita lunga spesa per la libertà della patria. Nata a Pedersano il 27 luglio ha militato nella Brigata Pasubiana dal 1942 fino alla fine della seconda guerra mondiale. Una testimonianza preziosa quella di Tosca Giordani, una memoria che è un tesoro per la democrazia e per la sua salvaguardia. Una mente lucida e brillante quella dell’ex partigiana che racconta con orgoglio le sue gesta, le decisioni prese autonomamente e la vittoria raggiunta dalle donne con il voto del 1946. Il 25 aprile Tosca Giordani lo ha impresso nella memoria, «da quel giorno tutto è cambiato» come spiega, ma attenzione a non dimenticare «non si cancella il passato il pericolo della violenza e dell’oppressione è sempre dietro l’angolo».
Domani è il 25 aprile, una giornata importante per il nostro Paese.
«La giornata più importante. La Liberazione si deve ricordare non solo una volta all’anno perché cade l’anniversario. Si deve ricordare tutti i giorni con tutte quelle persone che i fascisti hanno ucciso, e non dimentichiamoci delle deportazioni nei campi di concentramento. Io sono arrabbiata ancora tutti i giorni con il fascismo».
Quando ha deciso di diventare una partigiana?
«Avevo 13 anni, la mia maestra mi ha umiliato davanti a tutta la classe. Dovevamo scrivere un tema, io ho raccontato di quella volta che Mussolini era venuto a casa mia. Era ancora un socialista, gli servivano un paio di scarpe e mio nonno gliene aveva regalate un paio. Un debito mai ripagato. Mi sono permessa di scriverlo in un tema e la maestra infuriata mi ha strappato il quaderno, prendendomi in giro davanti a tutti i miei compagni, è stata la prima volta che ho cominciato a odiare profondamente la dittatura. Non si poteva dire o fare nulla, volevo ribellarmi».
In questo periodo dirsi antifascisti è passato di moda.
«Sì, è passato di moda. Gli antifascisti sono per la democrazia, sono quelli come me che non vogliono sentir più nominare il nome del duce. Dobbiamo esserlo tutti».
Anche la sua famiglia è sempre stata antifascista?
«Assolutamente, i miei genitori erano comunisti. Loro non mi hanno mai cercata di orientare politicamente, però. Passando gli anni si sentiva sempre più parlare delle cose orribili che faceva il partito di Mussolini. Lei non si immagina nemmeno quante persone inerti sono state portate via chissà dove, sparivano e non sapevano nemmeno il motivo».
Come è diventata una staffetta?
«Sono entrata nel gruppo di partigiani con mia cugina Vincenzina. Lei aveva un fidanzato nel gruppo che ci ha inserito. Lui e un suo compagno, Giovanni, stavano cercando una ragazza che portasse i fucili agli altri partigiani. Io mi sono proposta subito. Finivo il turno alle undici di sera nella fabbrica dove lavoravo. Uscivo prendevo la bici e andavo a casa di Giovanni. Suonavo il campanello tre volte, sulla porta mi faceva trovare un pacchetto con i fucili che dovevo trasportare. Salivo sulla bici e partivo».
Non ha mai avuto paura?
«Me lo hanno chiesto anche i miei amici partigiani prima di iniziare. Sapevo a cosa stavo andando incontro ma volevo partecipare anche io al gruppo. Avevo 20 anni, potevo decidere per me stessa però e ho deciso di unirmi a loro».
Era coraggiosa.
«Ero coraggiosa, mi muovevo sempre di notte da sola. Giravo con il fucile sulla schiena, sopra mi mettevo un cappotto largo».
Secondo lei c’è il rischio di una nuova deriva autoritaria?
«Il fascismo è sempre in agguato, ci sarà sempre nel nostro governo, basta vedere quello che è al potere ora. Ho paura».
Dopo la guerra nel giugno del 1946 anche le donne hanno potuto votare.
«Sono andata a votare con mia mamma e mia sorella, ci siamo fatte belle. Eravamo vestite di rosso. Non sono mai stata così orgogliosa. A quel tempo le votazioni si tenevano nella scuola di Pedersano. Abbiamo votato per le donne, e abbiamo vinto. L’affluenza femminile al voto era più alta degli uomini nel ‘46».
Cosa devono fare i giovani per salvaguardare la democrazia?
«I giovani devono conoscere quel periodo. Il fascismo è stata una piaga per l’Italia, sono morte migliaia di persona. Ho ancora vergogna di quello che è capitato in quegli anni. Il governo ora al potere non mi rappresenta. Mi arrabbio quando vedo il simbolo del partito di Giorgia Meloni, vorrei solo che togliesse quella fiamma, non è rispettosa per tutte le persone che sono morte, uccise dal regime. Io sono anziana ormai quello che posso fare è raccontare quello che è stato, quello che mi è successo e dire ai giovani di stare attenti di tenere gli occhi aperti. Il pericolo è sempre dietro all’angolo. Mi ricordo tutto quello che è stato e continuerò a ripeterlo».
Alcune narrazioni parlano di una «dittatura gentile», come se il fascismo non fosse stato violento come gli altri regime del Novecento.
«Questo è falso. Avevo due mesi e insieme alla mia famiglia eravamo costretti a partecipare alle parate fasciste. Non potevamo decidere nulla, nemmeno come vestirci. Nel mio Paese c’erano quattro fascisti e una volta salito al potere Mussolini sceglievano tutto loro. Non c’era libertà. Noi donne non potevamo nemmeno mettere i pantaloni. Lo sa cosa abbiamo fatto io, mia madre e mia sorella una volta caduto il regime? Siamo andate a comprare della stoffa e ci siamo fatte dei pantaloni. Eravamo finalmente libere. Voglio dirlo a tutte le ragazze: state attente e lottate per la vostra libertà».
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