l'inchiesta

venerdì 6 Dicembre, 2024

Tovazzi: «Volevano il mio supermercato, ma ho detto no a Schelfi e Signoretti»

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Trento, secondo le carte dell'inchiesta il suo no decisivo per far saltare l'affare sulla stazione delle corriere

«Non mi fermo per uno che vende formaggio». L’imprenditore arcense Paolo Signoretti, indagato per associazione a delinquere con metodo mafioso, non voleva rinunciare al progetto immobiliare sull’area dell’autostazione di Trento (in vista del suo trasferimento all’ex Sit). Voleva cambiare la legge provinciale («perché le norme in Trentino basta cambiarle», avrebbe detto in una conversazione intercettata dai carabinieri). Non voleva arrendersi di fronte al rifiuto di compravendita dell’immobile di Eurospesa in via Torre Vanga: un’operazione necessaria per presentare l’iniziativa in un’area pubblica. Quello «che vende formaggio» («quel dal formai») era Alberto Tovazzi, il titolare del supermercato, che ha detto di no all’offerta presentata dall’ex presidente della Cooperazione trentina Diego Schelfi, socio in affari della cordata Signoretti-Hager, ma estraneo all’inchiesta. Sì perché suo nonno Alferio, nel 1953, aprì un negozietto di formaggi nell’immobile del supermercato. «Ma vendevamo pure salami», oggi ci scherza su l’attuale titolare di Eurospesa.

Tovazzi, nell’inchiesta c’è un passaggio che la riguarda direttamente.
«Sì, ho visto (ride)».

In pratica ha ostacolato il progetto immobiliare della cordata Benko.
«No dai, non ho ostacolato nessuno. Non eravamo d’accordo sul prezzo».

Ci sono state pressioni?
«No, non ho ricevuto pressioni. Ma mi hanno detto che, nel caso in cui non avessi venduto, ci sarebbe stato l’esproprio più avanti».

Hanno provato a convincerla a vendere.
«Esatto, ma io ho fatto le mie valutazioni».
«Venditore di formaggi», con questo appellativo la chiamava Signoretti.
«Fa ridere. Non sa che vendevamo pure salami (ride)».

Le avevano detto qualcosa del progetto che avevano intenzione di realizzare?
«Non mi avevano detto niente. Volevano solo acquisire il supermercato e poi per vie traverse, tramite il sindaco, sono venuto a sapere del progetto. “Vogliono fare come su a Bolzano, vogliono riqualificare la zona”, mi ha detto Ianeselli».

La cifra che le avevano offerto era inferiore al valore dell’immobile?
«Loro mi hanno portato una cifra, io ho fatto un po’ di calcoli e ho deciso di non vendere. Non vale la pena chiudere per poi lavorare di nuovo (ride). Certo, non sono stati chiari, ma forse non lo potevano neanche essere. Sapete poi, ci sono tanti sbanfoni: anni fa era venuta anche un’altra agenzia».

Lei ha incontrato solo Schelfi?
«Sì, ci siamo incontrati due volte e poi mi sono visto una terza volta con un’altra persona allo studio del mio commercialista. Non ho mai incontrato né Signoretti né Hager».

Ma sapeva che dietro all’operazione c’era il gruppo Benko sì?
«No, Schelfi non mi disse nulla. Sapevo solo di un gruppo austriaco, ma in maniera generica. L’ho saputo successivamente».

Con il senno di poi meglio non aver venduto…
«Magari ci rimettevo pure».