L'intervista
mercoledì 6 Settembre, 2023
di Benedetta Centin
«La strage di Ustica è una delle vergogne più grandi d’Italia. Ci hanno preso in giro per tanti anni, noi parenti delle vittime ci speriamo ancora che prima o poi la verità su quello che è successo possa venire fuori. Le dichiarazioni di questi giorni di Giuliano Amato, la sua tesi del missile francese destinato a Gheddafi, non mi hanno affatto stupito: non è una novità che il Dc9 in cui viaggiavano mia mamma e mia zia sia stato abbattuto. Era una versione già sostenuta dall’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga e dal giornalista Andrea Purgatori. Se è stato davvero così la Francia si dovrebbe assumere le proprie responsabilità, quella della morte di ottantuno persone, tra cui appunto quella di mamma e zia, ma figuriamoci se lo farà». Aveva diciotto anni Donatella Gatti quando ha salutato la madre Erika Mazzel con le valigie in mano, in procinto di partire da Campitello di Fassa per una vacanza a Palermo, a Punta Raisi, assieme all’amata sorella minore Rita, che si era trasferita con il marito e il figlio prima a Bressanone e poi in Germania. Donatella Gatti non sapeva sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto la madre e che dopo di allora non avrebbe più nemmeno incontrato la zia. Le due sorelle Mazzel, appunto di Campitello di Fassa, erano infatti tra gli ottantuno passeggeri dell’aereo che, decollato da Bologna, la maledetta sera del 27 giugno del 1980, alle 20.59, si è inabissato nel mar Tirreno, tra le isole di Ponza e Ustica.
Non dovevano salire su quell’aereo
E pensare che le due trentine «Non dovevano nemmeno partire quel giorno: erano state più volte in agenzia viaggi a Bolzano e sono riuscite a salire su quel volo solo perché due passeggeri avevano rinunciato all’ultimo — fa sapere la figlia e nipote — Loro erano molto legate e quando potevano si ritrovavano. Mamma era così felice di fare le ferie in Sicilia con zia Rita». Un sogno che si è inabissato, come il relitto dell’areo. «Di mamma mi è rimasto solo il ricordo — racconta, emozionata, amareggiata, Donatella Gatti — era una grande lavoratrice, una donna intraprendente, futuristica. Gestiva con mio padre il rifugio Des Alpes, che è poi passato a mia sorella Patrizia. Mamma e zia sono mancate molto a tutti noi, hanno lasciato un grande vuoto». Le sorelle Mazzel non sono infatti mai arrivate a destinazione e hanno lasciato nella disperazione e nel dolore i mariti — Nerino Gatti, morto l’anno scorso, e Gerhard Jansen — e i loro ragazzi, e cioè Patrizia, Donatella e Paolo, figli di Erika, all’epoca di 48 anni, e Alexander figlio di Rita, la quale di anni ne aveva 37. I nomi delle due trentine sono nella lista delle vittime della strage di Ustica, rimasta di fatto un mistero nonostante le numerose indagini e i processi.
L’intervista di Amato, le reazioni
A riaprire il dibattito, in questi giorni, è stata l’intervista concessa a «Repubblica» da Giuliano Amato, in cui l’ex premier ripercorre la «lunga vicenda segnata da opacità, depistaggi e silenzi omertosi». L’ex presidente del Consiglio ha sostenuto che ad abbattere l’aereo civile Dc9 Itavia in viaggio sui cieli del Tirreno, con destinazione a Palermo, era stato un missile sparato da un caccia francese, nell’ambito di un’operazione militare segreta della Nato finalizzata a uccidere il leader libico Mu’ammar Gheddafi. «Si voleva fare la pelle a Gheddafi, in volo su un Mig della sua aviazione, ma il leader libico sfuggì alla trappola perché avvertito da Craxi». Purtroppo però il velivolo militare libico volava in scia all’aereo di linea. «E il missile sganciato contro il Mig libico finì per colpire il Dc9 che si inabissò con dentro ottantuno innocenti» le parole di Amato che hanno innescato il dibattito e scatenato una ridda di polemiche. Portando ancora una volta i parenti di quegli innocenti, tra cui tredici bambini, a chiedere quella verità tanto agognata. E giustizia.
«Nessuna novità e stupore»
«Non mi spiego come mai Amato abbia fatto queste dichiarazioni ora, forse per stimolare la Francia che se è vero quello che dice l’ex premier sarebbe bello si assumesse le sue responsabilità — il commento di Donatella Gatti — Ho letto anche io i giornali, ma certo non ci sono cose nuove, sono state scritte e trascritte, si conoscevano da tempo, anche il fatto che si era trattato di un attentato a Gheddafi. Non ne sono rimasta stupita, anche se non sapevo che Craxi avesse avvisato il leader libico della trappola. Insomma, ci era già stato detto più o meno come erano andate le cose, che l’aereo era stato abbattuto per sbaglio al posto del Mig libico. Era stato Cossiga il primo a parlarne, ma finché la Francia non lo ammette che si può fare?» insiste la trentina che, con gli altri familiari, si è affidata agli avvocati e rimane in contatto con Daria Bonfietti, presidente dell’associazione parenti delle vittime della strage di Ustica. L’obiettivo, da 43 anni a questa parte, è quella di ottenere finalmente una versione dei fatti certa, chiara, definitiva, con un responsabile appurato, formalmente riconosciuto. «È noto che allora era in atto una guerra fredda in un periodo di pace, che c’era una guerriglia in cielo, ma la Nato ha tenuto tutto nascosto, non ammetterà mai quanto successo. Pur che non emergesse la verità ci sono stati depistaggi, sono state obbligate delle persona a mentire, altre sono morte — insiste Gatti — Me lo auguro davvero che finalmente questa verità venga fuori. Me lo auguro per me stessa e per tutti i familiari delle ottantuno vittime».
Sesto Pusteria
di Redazione
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