La lettera
lunedì 14 Novembre, 2022
di Redazione
La situazione in Trentino continua a peggiorare: da terra di accoglienza è diventata un territorio respingente e che viola i diritti fondamentali delle persone migranti che arrivano soprattutto dalla Rotta balcanica. L’Assemblea antirazzista di Trento si è quindi mobilitata e ha scritto una lettera con un numero importante di primi firmatari sia tra gli enti e le associazioni che tra le persone fisiche. Una lettera che vuole fare pressione sulle istituzioni a partire dalla Provincia con l’intento di giungere a rapide risoluzioni per le oltre 300 persone che in questo momento non hanno risposte dalle autorità competenti e sono costrette a vivere per strada. Tra i firmatari della lettera spiccano i nomi di padre Alex Zanotelli, della docente universitaria Barbara Poggio, dello storico Francesco Filippi, dell’avvocato Giovanni Guarini, e di Max Fontanari vocalist dei Rebel Rootz
La lettera è stata inviata questa mattina alle istituzioni, in particolare al Presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti; al Commissario del Governo, Prefetto Gianfranco Bernabei, al sindaco di Trento, Franco Ianeselli al presidente del Consorzio dei comuni trentini e del consiglio delle autonomie locali, Paride Gianmoena, al Questore di Trento, Maurizio Improta e per conoscenza al Difensore Civico, Gianna Morandi.
Riportiamo integralmente il testo della lettera che include testimonianze dirette di donne e uomini in difficoltà e in attesa di una risposta per completare i passaggi burocratici che normino legalmente la propria accoglienza in terra trentina.
«Qui sono arrivati già tre volte uomini in divisa e ci hanno buttato via le coperte e hanno detto che qui non possiamo dormire. Io ho fatto richiesta di protezione internazionale in Questura e anche per un posto letto, ma sono in strada da 4 mesi e nessuno mi ha mai chiamato».
«Sono arrivato a Trento 2 mesi fa, ho provato a fare richiesta di asilo ma non ci sono riuscito. La Questura mi ha chiesto un domicilio, ma come faccio se non ho un alloggio? Vivo vicino al parco, sotto un ponte, quando pioveva tanto ho avuto paura. Ho fatto richiesta di posto letto ma mi hanno risposto che il dormitorio è pieno, che mi chiameranno…».
Parole chiare e vere raccolte da volontari, attivisti e operatori che, anziché sentirsi disturbati dalla presenza di persone «straniere che vagano stranite» si interrogano sul perché siano costrette a vivere per strada ricercando un luogo dove trovare cibo e calore dopo lunghissimi viaggi segnati da violenze e soprusi, il più delle volte, lungo la cosiddetta «Rotta Balcanica».
Uomini soprattutto di origine pakistana, che hanno presentato, o stanno cercando di presentare, domanda di asilo senza trovare la giusta accoglienza ma, all’opposto, incontrando rifiuti, rinvii, impossibilità che impediscono loro di esercitare un legittimo diritto previsto dalla normativa italiana che, per loro, non viene applicata.
Dalla conoscenza «diretta e personale» che di loro abbiamo (non trattandoli da numeri) sono oltre 300 e vivono «per strada» perché è loro impedita l’entrata nel “sistema di accoglienza” che per loro non mostra nulla di accogliente: 300 esseri umani che non possono essere considerati un’emergenza sociale bensì persone titolari di un diritto loro negato. Mai a Trento si era giunti a tanto! Fino a pochi anni fa i posti nei progetti di accoglienza erano 1700, poi è stata fatta la scelta di ridurli progressivamente a 600.
Abbiamo scritto questa lettera perché non possiamo e non vogliamo girarci dall’altra parte, e quando incontriamo gli sguardi delle persone che sono costrette a vivere “in strada” vorremmo poter rispondere nei fatti che sono arrivate in un luogo di accoglienza e solidarietà. Siamo persone che credono possibile che il nostro territorio, che ha dimostrato di essere in grado di accogliere oltre 2.200 persone sfollate dall’Ucraina, possa e debba fare lo stesso anche con loro che hanno gli stessi diritti “nonostante” un diverso paese di provenienza, colore della pelle, e religione.
Noi li chiamiamo «migranti» come di fatto sono, anziché «clandestini» come li si vuol far diventare. Si tratta infatti di persone che hanno diritto a un posto di accoglienza, persone che, secondo le disposizioni di legge previste dal DL 142/2016 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), dovrebbero avere con immediatezza un posto dignitoso in cui vivere dal momento che hanno chiesto asilo o stanno tentando di farlo e sono prive di mezzi di sostentamento economico (l’art. 1 del D.Lgs. 142/2015 stabilisce che l’accesso alle misure di accoglienza deve essere garantito fin dal momento della manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale e che le misure di accoglienza si applicano anche ai richiedenti asilo sottoposti alla procedura di determinazione dello Stato membro competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale).
Questa lettera è rivolta a coloro che, se non intendono “restare umani” e garantire la giusta dignità a tutt@, sono comunque tenuti a non incorrere nuovamente in gravi violazioni delle norme, già sanzionate in passato ad esempio dal Tribunale di Trento con ordinanza del 6 maggio 2022 RG 1397/2015.
I livelli di responsabilità non ottemperati (pare strano dover essere noi a ricordarlo), sono più di uno:
1. da parte del Ministero dell’Interno, che negli scorsi mesi non ha richiesto con la necessaria sollecitudine a Provincia e Commissariato del Governo il rispetto dei loro doveri istituzionali in merito all’aumento delle quote di accoglienza, tanto più che da almeno 4 anni in Trentino, non è più stato trasferito neppure un solo richiedente asilo tra quanti sono stati accolti nei centri del sud Italia dopo gli sbarchi e da parte del Commissariato che rimane silente di fronte alle richieste di accoglienza;
2. da parte della Questura che, per “filtrare” le domande di asilo, richiede documenti non previsti dalla normativa, come il domicilio (in base all’art. 6 del DL 25/2008 “la dichiarazione di ospitalità non ha fondamento giuridico“) o il passaporto (in base all’art. 6, par. 6 della direttiva 2013/33/UE “gli Stati membri non esigono documenti inutili o sproporzionati né impongono altri requisiti amministrativi ai richiedenti prima di riconoscere loro i diritti conferiti dalla presente direttiva, per il solo fatto che chiedono protezione internazionale), di fatto creando ritardi ed enormi problemi nella presentazione delle istanze;
3. da parte della PAT che non rispetta il principio di collaborazione con le altre istituzioni e non agisce di concerto con il Commissariato del Governo per individuare e aprire nuovi spazi, anche provvisori, per evitare di abbandonare esseri umani in carne ed ossa alle intemperie e al freddo sempre più intenso.
Di fronte a tale situazione crediamo sia necessario intervenire immediatamente, pena non solo il mancato rispetto della normativa ma anche la morte di qualche persona come sta già accadendo in altri territori.
Per questo chiediamo di:
1. ripristinare la corretta procedura di accoglienza delle istanze di asilo da parte delle istituzioni preposte senza addurre una pretestuosa quota prefissata, non prevista dalla legge;
2. individuare una dignitosa situazione abitativa per tutti i richiedenti asilo che, solo temporaneamente, potrebbe essere la Residenza Fersina;
3. tornare progressivamente ad un sistema di accoglienza diffuso su tutto il territorio provinciale, lavorando in sinergia con le comunità locali così come è avvenuto per l’accoglienza delle persone ucraine.
Se il Trentino vuole essere effettivamente terra di accoglienza e di civile convivenza e riconoscimento del diritto ad un’esistenza dignitosa per tutt@, non può girarsi dall’altra parte.
Noi non lo facciamo e chiediamo a tutte le Istituzioni preposte di fare la loro parte, se non in nome del rispetto dell’Umanità, almeno per quello del Sistema giuridico-normativo italiano che rappresentano.
L'inchiesta
di Tommaso Di Giannantonio
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