L'intervista

venerdì 7 Febbraio, 2025

Trentino volley femminile, febbre da finale di Coppa Italia. L’ex Berasi: «Il mio cuore dice Trento»

di

La «tigre del Bleggio» ha giocato per entrambe le finaliste, poi ha smesso a 28 anni: «I sacrifici non erano riconosciuti adeguatamente»

Soprannominata «la tigre del Bleggio», Virginia Berasi è un nome altisonante nel mondo pallavolistico trentino. Esperienza in Serie A1 con Vallefoglia, maglia con la quale la classe 1994 giudicariese ha deciso di chiudere anzitempo la propria carriera, ma anche in B1 e B2 con le friulane di Talmassons e le lagarine di Lizzana, oltre all’A2, non certo ultima per importanza, con l’allora Trentino Rosa e San Giovanni in Marignano. Due società, queste ultime, che in un incrocio di coincidenze si ritroveranno a sfidarsi domenica nella finale di Coppa Italia di Serie A2, per l’appunto, dove in palio sarà messo il primo trofeo della stagione. Ne abbiamo parlato proprio con lei, che ha vestito entrambe le casacche e nel febbraio del 2020, in veste Trentino Rosa, si è cucita sul petto la coccarda destinata proprio alle vincitrici della manifestazione.
Berasi, a distanza di cinque anni si ripete la finale tra Trento e San Giovanni in Marignano. Cosa accomuna queste due società, sempre protagoniste in campo italiano?
«In comune hanno sicuramente la grande ambizione di conquistare continuamente trofei ed il fatto che sono due squadre, perlomeno quando ci giocavo io, dal sapore familiare. Noi giocatrici, sia dalla parte di Trento che di San Giovanni, ci sentivamo parte di una famiglia, più che all’interno di una squadra. L’affetto della società era paragonabile e si sentiva il calore della gente».
Domanda di rito, non ce ne voglia, ma per chi tiferà domenica?
«Mi auguro che Trento vinca. Sia chiaro, sono stata sempre ben voluta dai tifosi di tutte le squadre in cui ho militato e sono ancora legata a loro, ma rappresentare la squadra della propria città è un’altra cosa. Non si può sciogliere questo legame. Di certo, San Giovanni lotterà con tutte le proprie forze perché negli ultimi anni hanno perso due finali diverse, oltre a quella contro di noi, e vorranno la rivincita. Poi Bologna porta bene a loro perché l’ultima Coppa Italia l’hanno portata a casa proprio in Emilia, quindi saranno cariche a mille, ma lo saranno anche le ragazze trentine del resto e ne verrà fuori una bella partita».
Immagino ricordi la settimana di avvicinamento alla sua finale. Che emozioni ha provato e cosa si sente di dire alle ragazze che scenderanno in campo domenica?
«In tutta onestà, la settimana che precede la finale è sempre la più bella. Vivi in una sorta di bolla, che finirà dopo la premiazione. In questo lasso di tempo, cerchi di rimanere concentrata, provi a lavorare sugli ultimi dettagli che possono fare la differenza, e curi lo stato fisico meglio di altri momenti. Ciò non significa che ci si debba allenare di più, vai a salvaguardare anche il riposo. Oltre a questo, poi, condividi i tuoi pensieri e la mentalità da tenere verso la finale con la squadra: ricordo che c’erano diversi momenti in cui ci si confrontava. Emotivamente è stata intensa, ma piuttosto serena».
E di quel trionfo cosa ci dice?
«Che già alla vigilia c’era la soddisfazione di esserci arrivata in finale. Chiaro che la vittoria ha poi ampliato tutto: quello è il momento nel quale provi le emozioni più grandi, che poi godi per i due giorni successivi. Non voglio dire che sia effimera come sensazione, ma quasi. Ti godi il momento e il fatto di avere vinto, ma devi subito superarlo per rifocalizzarti sugli obiettivi successivi. C’è da dire che alzare la coppa regala quel pizzico di leggerezza e fiducia in più che ti permette di proseguire al meglio anche nella parte finale di campionato. La vittoria ti fa vivere partite dove la tensione si affievolisce un po’, cosa che nelle partite da dentro o fuori non succede praticamente mai».
Nonostante la grande vittoria, dopo un paio di anni e altrettanti cambi di maglia, ha deciso di appendere le ginocchiere al chiodo. Cosa l’ha spinta verso questa decisione così drastica?
«Quando giocavo a pallavolo ero molto concentrata su ciò che consideravo il mio lavoro: personalmente ho smesso perché sentivo il bisogno di altro, soprattutto a livello mentale. Inoltre, c’erano alcuni aspetti che mi davano fastidio: il fatto di non vedere riconosciuti i propri sacrifici dal punto di vista economico, nonostante gli impegni fossero assimilabili a un lavoro comune. Non eravamo considerate lavoratrici a tutti gli effetti e, di conseguenza, godevamo di pochi diritti. Questo fatto ha iniziato a pesarmi parecchio e ho deciso di lasciare la pallavolo, oltre a diverse altre motivazioni che hanno fatto la differenza: su tutte, avevo voglia di provare la mia professione di ostetrica».
Se potesse tornare indietro, rifarebbe le stesse scelte?
«Posso dire apertamente che, per come sono adesso, sto bene così. Mi piace ciò che sto facendo, abito in un luogo (il Bleggio, ndr) che mi rende tranquilla: il lavoro mi piace e riesco pure a dedicarmi alla pallavolo allenando una squadra giovanile del Castel Stenico. È un aspetto che mi stimola e che mi fa tornare indietro nel tempo, perché sembra di tornare ad allenare me stessa da giovane. Lasciare la mia carriera mi ha sicuramente tolto tanto, ma adesso mi sento più completa».
E i prossimi passi della sua vita quali saranno?
«Sto lavorando sul cercare di dare sempre di più alle mie atlete, stimolandole continuamente a riprovarci in ogni occasione. Poi, ho rimesso piede in palestra per aiutare la mia squadra, stavolta come schiacciatrice. L’obiettivo è quello di cercare la salvezza in Serie D con il Castel Stenico».