Trento film festival
martedì 9 Maggio, 2023
di Claudia Gelmi
Camminando per le strade del centro storico di Trento nei dieci giorni appena trascorsi, la città si presentava trasformata, attraversata da un’energia collettiva che non si respirava dai tempi precedenti la pandemia, con il valore aggiunto della meraviglia di ritrovarla ancora, nel dopo, quell’energia preziosa quanto vitale. È stato «l’effetto» Trento Film Festival, che per più di una settimana ha riempito tutte le sale cinematografiche e tutti i luoghi di incontro dove si svolgevano gli eventi della manifestazione che ha chiuso l’altro ieri la sua 71esima edizione. «Abbiamo parlato a lungo di sogni, nel lanciare questa edizione del festival, e adesso possiamo dire che i nostri si sono davvero realizzati – ha dichiarato la direttrice Luana Bisesti – Rivedere i cinema, i teatri e le piazze piene come prima della pandemia, ci fa capire ancora di più quanto sia stato importante tenere duro negli anni più difficili». I dati di questa edizione si assestano sui numeri del 2019, con un aumento del 30 per cento rispetto allo scorso anno, e dei picchi rispetto ad alcune sezioni. «Tutto esaurito» è stata l’espressione più usata dagli addetti alle biglietterie nei giorni del festival. Il cinema è ritornato ai suoi splendori, il gioioso rito collettivo ha ritrovato la sua anima.
Luana Bisesti, negli anni in cui il cinema sta vivendo forse la sua crisi più profonda, quale spiegazione si dà del successo di pubblico di questa edizione del Trento Film Festival?
«È la spiegazione che diamo di cos’è un festival. Se andiamo a guardare, quasi tutti i festival di cinema sono andati bene. È molto diverso partecipare a un festival rispetto ad andare al cinema “generalista”, perché non si tratta solo di guardare un film, ma di vivere un’esperienza collettiva, dove qualcuno ha impostato un programma su temi di interesse specifico. È un fenomeno che crea un importante senso di identificazione e partecipazione in cui gli spettatori si sentono protagonisti, sentono l’evento come un po’ loro. Gli ingredienti sono la qualità dei contenuti, il senso di collettività, l’unicità dell’esperienza, e il sapere che ci si può fidare di chi fa le scelte artistiche e la programmazione».
Non si potrebbero raggiungere tali esiti se alla base non ci fossero una lunga storia e un lavoro di ricerca che non ha mai deluso, rendendo così possibile la fidelizzazione del pubblico.
«Fidelizzazione dei “pubblici” direi, perché sono tantissimi, oggi, i nostri pubblici. Lo avevamo capito già nelle precedenti edizioni, e quella di quest’anno ci ha dato la conferma di quanto percepito prima della pandemia. I pubblici sono infatti diversi e qualificati, scelgono cosa andare a vedere perché spinti da interessi specifici e dalla voglia di partecipare. Altrimenti non si spiegherebbe l’enorme adesione agli appuntamenti per i piccoli e i ragazzi e le ragazze nello spazio T4Future allestito in piazza Fiera, per i libri nel padiglione di Montagna Libri in piazza Duomo, per la stessa sezione “Destinazione… Etiopia”, che ha riscontrato il sold out per tutti i film proposti, con temi non certo facili. Questo significa che negli anni ci siamo fidelizzati un pubblico interessato alle proposte del Paese ospite che approfondiamo in ogni edizione. La partecipazione c’è stata insomma su tutti i fronti, anche alle serate, agli eventi, che abbiamo maggiormente differenziato, intercettando le curiosità più eterogenee».
Il lavoro che svolgete nel settore educativo e dedicato alle famiglie sta creando una nuova cittadinanza del festival?
«Senz’altro. Quest’anno lo spazio T4Future ha visto una partecipazione strabiliante, con oltre 10 mila presenze solo agli eventi per le famiglie. Per quanto riguarda i laboratori video per le scuole, abbiamo avuto migliaia di studenti in sala e la piattaforma dedicata agli istituti è ancora attiva».
Alla luce di questo successo e delle considerazioni appena fatte, come pensa si possa incentivare la frequentazione dei cinema?
«Credo che non basti più la proposta di un film da andare a vedere, ma che si debba andare nella direzione di differenziare e puntare sulla qualità, con proposte più mirate, su argomenti che vengano approfonditi, accompagnati da momenti altri: potrebbe essere questo un modo per avvicinare di nuovo le persone alla sala cinematografica, facendo riscoprire, o scoprire, soprattutto ai giovani, il sapore e il gusto di andare al cinema, di condividere un’esperienza collettiva con chi sta guardando il film insieme a te nello stesso momento, che è poi l’esperienza di un festival».
Crede che negli anni sia migliorata la qualità dei vostri film e documentari in programma?
«La qualità della proposta cinematografica è senza dubbio aumentata negli anni. Abbiamo cercato di farlo attraverso il sofisticato lavoro di Sergio Fant (responsabile della programmazione cinematografica, ndr) e dei selezionatori. Da tempo al festival non sono più presentate solo le imprese alpinistiche, epiche, performative, ma il programma si è sempre più arricchito di narrazioni, storie, racconti, biografie, visoni di paesaggi e approfondimenti di culture. D’altra parte anche il cinema/documentario si è evoluto in questa direzione, prestando maggiore attenzione alla ricerca da parte dei registi e delle registe, che oggi sono maggiormente interessati a raccontare storie di vite, paesaggi e culture a 360 gradi. Inoltre dalle scuole oggi escono ottimi documentaristi e documentariste che sanno costruire narrazioni complesse e complete».
Qual è stato il suo film preferito di questa edizione?
«Il corto animato che ha vinto la Genziana d’argento per il miglior contributo tecnico artistico “Ice Merchants” di João Gonzalez: l’ho trovato toccante, capace di parlare di un tema attualissimo e problematico (il cambiamento climatico, ndr) in maniera originale, lirica, raffinata».