L'inchiesta
giovedì 17 Agosto, 2023
di Sara Alouani
Spini di Gardolo, Canova, Gardolo, Madonna Bianca, San Pio X sono questi i quartieri che scandiscono la mappatura di Trento dei giovani rapper. Sono tutte zone con un denominatore comune: la periferia che sia nord o che sia su, il contesto non cambia. Sono zone che vivono nell’ombra del centro città con un’alta densità di popolazione straniera e che spesso vengono giustapposte a degrado, criminalità e malavita ma dove in realtà si cela una vocazione artistica molto spiccata. Ed è proprio in questi quartieri che cantanti come Ciki Bam, Nunes, Pariss G, Binna, High Jesus, Ramzes, Big Pa e Unesett trovano l’ispirazione per produrre contenuti sempre nuovi e, a suon di barre, si sfidano tra loro. Diversi nei loro stili, ma con un grande rispetto uno del lavoro dell’altro, i rapper su una cosa sono tutti d’accordo: guai a chi tocca il loro quartiere!
Il quartiere come musa
Se c’è una cosa che accomuna tutti i rapper è l’amore per la propria casa, per il proprio «hood», per dirlo all’americana, dove un artista nasce e cresce non solo personalmente ma anche e soprattutto artisticamente. «Non importa se vieni da un posto schifoso, dove non c’è un cane, per ogni rapper il proprio quartiere è importantissimo, è il trampolino di lancio dove nasce come artista e non lo scorda mai» spiega Ciki Bam rapper di Spini di Gardolo. Per ogni musicista, infatti, quel luogo diventa una sorta di consacrazione della loro carriera e che porteranno sempre nel cuore, nonostante i mille difetti che lo caratterizzano. «Spini non è bella – aggiunge Ciki Bam- ma se qualcuno la critica io mi offendo. Mi rendo conto che chi non ci ha vissuto non può capire la sua bellezza, io invece, qui ci sono cresciuto». Un amore incondizionato che diventa il motivo per cui si canta e il motivo di cui si canta. «C’è una cosa comune tra noi e voi giornalisti– azzarda Unesett–: raccontiamo quello che accade nelle nostre case, siamo giornalisti del quartiere. Il quartiere diventa, quindi, una vera «musa ispiratrice» perché «noi viviamo la vita delle persone che ci circondano – continua Unesett- e la facciamo nostra. Ogni loro battaglia è anche la nostra» e ricorda alcuni episodi accaduti anni fa, quando degli amici furono sfrattati dalle loro abitazioni: «Noi ci siamo messi sui tetti per protestare».
Il rapporto tra rapper e quartiere, però, non è tutto rose e fiori e i contrasti non mancano. È un perenne «amore e odio», perché «in periferia sei isolato, stretto –spiega Unesett– e questo senso di soffocamento ti spinge ad evadere». Ed è questo il sentimento che porta molti rapper a scrivere, da un lato per sfondare nel mondo della musica, dall’altro per sfuggire alle grinfie di una vita senza prospettive, e diventare un’allettante preda per la criminalità.
Il quartiere come ritorno
Ci sono anche i rapper che se ne vanno, chi per lavoro, chi per inseguire il proprio sogno, chi, invece, semplicemente per il trasferimento della famiglia.
Ma come si suole dire, il primo amore non si scorda mai e così, prima o poi si torna sempre. È il caso di Unesett che da anni vive a Bolzano ma quando si tratta di organizzare eventi e concerti, girare video musicali, torna a Spini di Gardolo dove è cresciuto anche se si definisce «un bastardo»: nato a Salerno, cresciuto a Trento e adottato dal capoluogo altoatesino ma che nel suo «hood» ha lasciato un pezzo di cuore. Lì dove ha mosso i primi passi da rapper e dove si è affermato come artista.
Il quartiere insegna
Droga, armi, sesso sono una costante delle canzoni rap tanto che, quando si pensa ad un cantante rap, automaticamente scatta quel meccanismo di associazione con la figura del criminale, quasi per metonimia. Ma è realmente così?
«Se fai quelle cose, di certo non le sbandieri nelle canzoni» è questo il commento del tutto logico di Big Pa, rapper di Gardolo, che spiega piuttosto come i brani descrivano quello che accade nei quartieri, e di conseguenza, toccano per forza di cose, anche temi come questi. Poi, c’è chi, più giovane e inesperto, fomentato dagli esempi americani e francesi, con una certa spavalderia racconta di esperienze vissute che probabilmente ha visto solo nei film. «Lo fanno per il successo, –spiega Unesett– con questa roba si punta più alla fama ed è caratteristico delle nuove generazioni. Ma minano la street credibility che è alla base del buon rap». La musica deve avere un messaggio ed il quartiere, attraverso le note, deve insegnare «cosa è giusto e cosa è sbagliato» soprattutto perché a seguire questi artisti sono bambini e adolescenti che vedono in loro un esempio da seguire. «Spesso incontro bambini per strada che non attendono altro che sentire un mio nuovo pezzo o, addirittura, che vogliono partecipare ai miei video musicali» ha affermato Pariss G che nel suo singolo «Via San Pio X» ha permesso ad alcuni bambini del quartiere di figurare come comparse.
Quartieri, rivalità e collaborazioni
La divisione in quartieri e la difesa, quasi gelosa, del proprio «hood» è caratteristica indelebile della musica rap e, inevitabilmente, sfocia in un fortissimo senso di competizione tra le diverse zone della città, così come a New York, questo senso di rivalità esiste anche nella piccola Trento. È una lotta, però, che deve rimanere strettamente a «livello musicale», deve essere uno sprono a fare meglio di un cantante che ha appena rilasciato un brano che «spacca». Non è un combattimento, bensì una gara ad essere il migliore, spiegano i ragazzi. Questo non esclude che possano nascere collaborazioni.
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