il caso

sabato 22 Febbraio, 2025

Trento, poliziotta transgender pestata a sangue da tre uomini: calci, pugni e tagli al volto. «Sono ultras del Trento»

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La vittima, 52 anni, aggredita senza ragione mentre si trovava in un bar nella zona dello stadio. Già identificata una persona. «È intervenuta la giovane barista che in lacrime ha chiesto loro di smettere. E se ne sono andati, ma uno dei tre, prima di inforcare la porta, mi ha insultato ancora una volta dicendomi "ti meriti di essere pestato"»

La spallata per innescare la reazione della vittima, il diverbio culminato in offese ed insulti transfobici. E la violenza. Brutale. Pugni scagliati soprattutto in pieno volto, tagli provocati con un oggetto contundente, e una raffica di calci una volta scaraventata a terra. Più volte. È agghiacciante il racconto della poliziotta transgender di 52 anni sulla terribile aggressione di cui è stata vittima nelle prime ore del 15 febbraio in un bar di Trento della zona stadio. Tre gli uomini che si sono accaniti contro di lei procurandole sfregi importanti, suturati con 22 punti in ospedale, e contusioni e traumi per una prognosi al momento di trenta giorni. Assistita dall’avvocato Stefano Daldoss, l’agente ha formalizzato denuncia in questura. Facendo scattare così le indagini delle volanti che hanno acquisito le immagini delle telecamere del locale. Uno dei tre aggressori è già stato identificato, ma gli investigatori starebbero chiudendo il cerchio anche sugli altri due. Si tratta di ultras del Trento, a quanto pare della Nuova Guardia, della curva Mair, vicini ad ambienti di estrema destra e non nuovi a simili episodi. «Perché denuncio anche pubblicamente quello che mi hanno fatto? Perché altre vittime non abbiano paura di procedere come ho fatto io, questi che massacrano la gente così non possono rimanere impuniti» le parole della poliziotta, ancora scioccata.

La prima domanda è perché una simile violenza? Perché accanirsi così contro di lei?
«Loro sono ultras del Trento della Nuova Guardia, e io sono una agente e una donna transgender. Mi hanno riconosciuta appunto come poliziotta e come trans. E loro odiano le divise, la Polizia, e non tollerano le diversità. Con me sono andati a nozze. Uno di loro me lo ha detto prima di lasciarmi sanguinante sul pavimento del locale, tra gli insulti, che mi meritavo quel pestaggio…».

Ci racconti bene cosa è accaduto quella notte, alle 3 di sabato 15 febbraio.
«Dopo una cena con i colleghi mi sono fermata in questo locale che era quasi in orario di chiusura per consumare un drink al bancone, che però non ho finito di sorseggiare. Con quei tre uomini seduti al tavolo a fianco, dai 25 ai 35 anni circa, ho scambiato due chiacchiere su cose futili. Nulla che desse adito a quello che sarebbe poi accaduto. Erano tre tifosi del Trento della Nuova Guardia, come detto, uno dei quali lo conosco di vista. Pure io ho l’abbonamento al Trento ma non appartengo ad alcuna frangia, non vado nemmeno nell’angolino dove intonano i cori».

Che cosa è stato a scatenare l’inaudita violenza?
«Il locale doveva chiudere e noi siamo andati a riprenderci i cappotti per uscire quando uno di loro mi è venuto addosso, mi ha dato una spallata, secondo me per stizzirmi e quindi innescare una mia reazione. Ne è nato un diverbio e allora mi hanno vomitato addosso offese sulla mia persona in quanto transgender che mi hanno fatto arrabbiare e rispondere con un ceffone a chi mi aveva insultato. Che a sua volta mi ha piazzato un gancio in pieno volto, così forte da mettermi ko. Sono infatti volata sul pavimento, in mezzo ai tavolini, e quando mi sono alzata mi sono arrivati pugni da tutte le parti. Una raffica. Ferita, stremata, senza più forze, volevo cercare riparo in bagno, e infatti mi sono spostata in quella direzione ma uno dei tre mi ha respinto e quello che avevo riconosciuto mi ha buttato verso i suoi due amici. E allora mi è arrivata un’altra gragnola di pugni».

E ancora non avevano finito, giusto?
«Purtroppo no. Mi hanno procurato anche due tagli importanti sulla fronte, usando un oggetto contundente, forse il bicchiere da cui stavo bevendo, forse un tirapugni, non sono stata in grado di vederlo. So solo che all’ennesimo pugno sono stata nuovamente atterrata. E non ho potuto far altro che chiudermi a riccio per fare scudo contro gli ulteriori colpi, i tanti calci che sono seguiti, sperando così di provare meno dolore».

Come è riuscita a farli smettere?
«È intervenuta la giovane barista che in lacrime ha chiesto loro di finirla. E se ne sono andati, ma uno dei tre, prima di inforcare la porta, mi ha insultato ancora una volta dicendomi “ti meriti questo pestaggio”».

Come ha raggiunto l’ospedale?
«Da sola, in auto, non so nemmeno io come ci sono riuscita, forse per inerzia considerando lo stato in cui ero, con sangue ovunque, fin negli stivaloni e nelle calze, con la faccia una maschera di sangue, gonfia e tumefatta, con ematomi e dolori in più parti del corpo. Sono rimasta ore in pronto soccorso ed ero talmente stremata e sofferente che sono poi tornata a casa in taxi».
Cosa dice il referto con cui è stata dimessa dal pronto soccorso?
«Trenta giorni di prognosi, diciotto punti di sutura sulla fronte dove mi hanno lasciato due lunghi sfregi, altri quattro punti sulla nuca – solo alcuni però nel frattempo rimossi – naso rotto, trauma cranico, una botta al torace e alla spalla.. ».

E non sono le uniche ferite: ad oggi lei è molto scossa e provata.
«Infatti, ci sono i dolori fisici ma fanno ben più male quelli dentro la mia persona: sono delusa, parecchio incavolata per questa ignoranza e cattiveria gratuita. Spero non debba risuccedere, che questi non finiscano per massacrare qualcun altro come hanno fatto con me. È come se si sentissero autorizzati ad usare la violenza per loro piacere e nonostante ciò sembra rimangano comunque impuniti. L’unico modo per imporre il loro essere è la violenza, sono conosciuti per questo e a quanto pare non si preoccupano delle conseguenze dei propri gesti».

Cosa si sente di dire a chi ha subito o potrebbe subire?
«Di non avere paura e di denunciare. Si rischia, sì, rischio anche io, ma se si rema contro questi che non hanno a che fare con l’umanità, qualcosa può cambiare. Non dobbiamo mostrarci succubi: vanno denunciati».

Lei lo ha fatto in questura e lo fa anche attraverso la stampa.
«Lo faccio perché altre persone, altri trans picchiati e sottoposti a soprusi procedano contro i loro aggressori. Questi non possono continuare ad avere la meglio: anche loro per una volta devono sentirsi un po’ pressati».