Processo

martedì 18 Giugno, 2024

Venditore di auto si intasca l’acconto del suv e falsifica una firma: condannato a 2 anni

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L’uomo dovrà risarcire la concessionaria con 5mila euro e pagare le spese di 3400 euro

Collaboratore della concessionaria Jaguar-Land Rover Euromix Motors, per l’accusa prima si era trattenuto l’acconto per l’acquisto di un suv versato in contante dal cliente del salone, 2900 euro in tutto, poi si era fatto sottoscrivere dallo stesso cliente, e per due volte, documenti in bianco giustificando il fatto con problemi al portale della società di finanziamento. Accadeva quasi cinque anni fa. Ieri, lunedì 17 giugno, al termine del dibattimento in tribunale a Trento, il venditore infedele di 34 anni è stato riconosciuto colpevole di appropriazione indebita e truffa aggravate, anche dall’aver abusato del suo ruolo di consulente di vendita. E dopo la camera di consiglio il giudice Rocco Valeggia ha pronunciato sentenza di condanna. Gli ha inflitto due anni e due mesi di reclusione e 1200 euro di multa. Ma non saranno gli unici soldi che l’imputato, M.T. le sue iniziali, già detenuto in carcere, dovrà sborsare: dovrà liquidare più di 8mila 400 euro tra danni e spese legali al titolare della concessionaria Jaguar-Land Rover per cui lavorava il quale, assistito dall’avvocato Marco Vernillo, si è costituito parte civile. Ora l’ex consulente del salone di Trento, con il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Pontrelli, dovrà valutare se impugnare la sentenza e ricorrere in Appello per cercare di smontare il castello accusatorio e quindi essere assolto, o comunque farsi limare la condanna. Tra le varie aggravanti che gli erano state contestate c’era anche quella della recidiva: l’uomo non è infatti nuovo a queste accuse.
Le contestazioni
All’epoca dei fatti consulente di vendita con partita Iva, stando alla Procura il 34enne umbro si era tenuto parte dell’acconto versato da un cliente per l’acquisto di una Range Rover Evoque (2900 euro che gli aveva dato in mano, in contanti). E in più, per non far figurare l’ammanco, avrebbe sottoscritto, falsificando la firma del cliente, un nuovo contratto di finanziamento, con un importo più alto, che comprendeva appunto la cifra da «intascarsi». Quindi non più 23mila euro ma bensì 25.900. Almeno queste erano le contestazioni mosse a M.T..
Documenti in bianco
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti l’allora venditore aveva fatto sottoscrivere in due momenti diversi documenti in bianco all’acquirente, giustificando la seconda volta problemi di aggiornamento sul sito dell’istituto che doveva concedergli il finanziamento. Allora aveva rassicurato il cliente che avrebbe provveduto lui a completare i moduli, approfittando quindi della sua buona fede. E il contratto è stato sottoscritto, ma appunto con luogo e firma apocrifa e con rata più alta rispetto a quella concordata. Quando il compratore aveva cercato il venditore per avere lumi, questi aveva tergiversato o procrastinato gli incontri. Cosa fosse successo davvero lo ha scoperto il cliente stesso a ottobre 2020, quindi un anno dopo l’acquisto del suv, accendendo al portale della banca per avere informazioni sullo stato del finanziamento sottoscritto: allora si era reso conto che l’importo della rata mensile negoziata sulla carta era diverso, non di 400 ma invece di 540 euro, e che la firma apposta non era la sua. Tanto che l’ha disconosciuta. E il titolare del salone allora ha proceduto a formalizzare querela contro il dipendente infedele.
Finito davanti al giudice, al termine del processo il 34enne è stato ritenuto colpevole di appropriazione indebita e di truffa aggravate. Reati, questi, che gli sono costati una condanna a due anni e due mesi di reclusione e 1200 euro di multa. E a risarcire la parte offesa che si è costituita parte civile e cioè il legale rappresentante della concessionaria, che con l’avvocato Vernillo aveva sollecitato un risarcimento danni di 10mila euro. Il tribunale ha condannato l’imputato a liquidare metà della cifra, e cioè 5mila euro (dei quali 3mila subito, come prima trance), oltre a pagare le spese sostenute dall’ex datore di lavoro e cioè più di 3400 euro.