le opinioni
domenica 10 Novembre, 2024
di Massimo Furlani
C’è chi la vittoria di Trump se l’aspettava e chi invece è rimasto più sorpreso, ma tutti sono concordi sul fatto che il tycoon sia riuscito a puntare sui temi “giusti” per attirare consensi. Luca Dorigatti, nato a Trento, e Michael Pancheri, figlio di trentini emigrati, vivono negli Stati Uniti, fanno parte dell’associazione “Trentini nel Mondo”, e sono cittadini americani a tutti gli effetti che hanno votato alle elezioni di pochi giorni fa: «Io sono nato negli USA, i miei genitori emigrarono nel 1964 dalla val di Non – spiega Pancheri – Ho vissuto lungo la costa orientale, oggi sono a New York ma sono stato in precedenza anche a Boston e Washington. Sono un imprenditore, titolare di un’autofficina». Dorigatti invece vive dalla parte opposta, a Palo Alto, cuore economico della Silicon Valley californiana che ospita le sedi delle più grandi compagnie tecnologiche del mondo: «Io vivo qui negli Stati Uniti dal 1991- racconta – Sono diventato emigrato quasi “per sbaglio”, nel senso che quando arrivai non avevo inizialmente nessuna intenzione di trasferirmi, ero qui per motivi di studio. Durante una vacanza fatta l’anno prima realizzai che senza una buona conoscenza della lingua inglese non sarei andato da nessuna parte nel lavoro, furono questa necessità e la mia curiosità a portarmi negli Usa. Poi conobbi in università mia moglie, anche lei italiana, e pian piano maturò la mia decisione di cambiare il mio visto e stabilirmi qui. Oggi faccio l’amministratore immobiliare, ma comunque torno spesso a Trento, l’ultima volta è stata giusto il mese scorso». Entrambi, avendo la cittadinanza, hanno esercitato il loro diritto al voto: «Io ho votato per Harris – svela Pancheri – Non è stata una decisione scontata, non ne ero convintissimo, ma alla fine l’ho ritenuta una scelta migliore di Trump, che per me è un bugiardo. Negli ultimi quattro anni, per quanto mi riguarda personalmente, posso dire che la mia vita è migliorata, Harris e Waltz mi sembravano non solo persone oneste ma anche con le idee giuste perché gli Stati Uniti proseguissero sulla strada presa con Biden a partire dal 2020. Non sono un democratico priori, ritengo che quello di Trump sia un messaggio per certi versi giusto, quello che è sbagliato è proprio il messaggero, lo stesso Trump: è una persona troppo impulsiva, poco onesta, con poca conoscenza di ciò di cui parla. Con un altro candidato sarei stato molto indeciso». Dorigatti preferisce non specificare per chi ha espresso la sua preferenza, ma non si dice minimamente sorpreso dal successo del tycoon: «Tutti nella mia famiglia abbiamo votato – dichiara – L’esito di queste elezioni, almeno per me, era scontato. Trump si è confrontato con un partito che non aveva nessun tipo di programma elettorale, i democratici hanno fallito la campagna sin dalla sua partenza consentendo a Biden di ricandidarsi quando chiaramente non era in grado di sostenere né questo impegno né un secondo mandato. Sono dispiaciuto per Harris che è stata la prima “vittima” di questo errore e si è trovata costretta a candidarsi, e pur facendo una buona campagna non ha avuto nulla da offrire agli indecisi, che sono quelli che fanno la differenza a livello elettorale. Trump, invece, è rimasto sempre fedele alle sue posizioni, ha mantenuto la sua linea senza provare a inventarsi nulla di nuovo e puntando soprattutto a dare speranza alle fasce più povere della popolazione, cioè quelle indecise sul voto. Ci è riuscito sfruttando anche il fatto che il potere d’acquisto per queste persone, negli ultimi quattro anni, è calato notevolmente». Al contrario, Pancheri non nasconde di essere rimasto abbastanza sorpreso dall’esito delle urne: «Ero assolutamente convinto che avrebbe vinto Harris, almeno al voto popolare – commenta – A mente fredda e informandomi nei giorni successivi, comunque, sono riuscito a comprendere meglio ciò che è successo. Vivendo a New York, anche per “colpa” mia, ho finito per chiudermi un po’ in una “bolla”, sentendo distanti da me alcuni dei temi di Trump che invece sono centrali per gran parte della popolazione e sono stati alla base della sua campagna elettorale e della sua vittoria, come l’inflazione». Anche la California, negli ultimi decenni, si è trasformata in terra di conquista per i democratici, ma secondo Dorigatti il peso elettorale di quello che è il più popoloso Stato americano è molto più contenuto di quanto si pensi: «Dal punto di vista elettorale la California è uno Stato che “sposta” veramente pochissimo rispetto ad altri – commenta Dorigatti – Qui l’ultimo repubblicano a vincere nelle presidenziali è stato Bush nel 1988 dopo l’era Reagan, che era stato anche governatore dello Stato. Da allora sono sempre stati i candidati democratici a vincere qui, ma questo dominio non si è tradotto a livello nazionale».