L'intervista
sabato 25 Novembre, 2023
di Benedetta Centin
Sua figlia Carmela, uccisa a coltellate davanti ai figli dall’ex marito Marco Quarta, è nella lista delle donne vittime di femminicidi che ormai è alla stregua di un bollettino di guerra. Eppure, racconta papà Matteo Morlino che non riesce a darsi pace, Carmela «aveva fatto tutto il possibile, tutto quello che viene consigliato di fare da forze dell’ordine e istituzioni» per scongiurare il peggio. Per tutelare lei e i due bambini. «Aveva denunciato l’ex compagno per maltrattamenti in famiglia e si era rivolta ai centri anti violenza — ricorda il genitore — ma ciò nonostante si è trovata sola in una società che fa finta di non vedere. Senza protezione. Senza nessuna difesa». Impotente di fronte a quell’uomo, ex compagno e padre dei loro figli, che le aveva promesso amore e che invece ha deciso per la sua vita. Trasformandosi in un mostro. In un assassino (sta scontando 30 anni di condanna in cella).
Era la sera del 12 marzo 2015 quando Marco Quarta, agente immobiliare allora quarantenne, le ha teso un agguato fuori casa, a Zivignago, frazione di Pergine Valsugana. Quando ce l’ha avuta davanti le ha scagliato una raffica di coltellate. Infierendo su di lei per una quindicina di volte, con il coltello da combat che aveva portato con sé. Più fendenti inferti senza pietà, anche mentre le era sopra. Senza farsi scrupoli che ci fossero i due figli allora di sei e nove anni ad assistere. Terrorizzati. «Vittime a loro volta» confessa il parente che già in altre occasioni aveva puntato il dito contro le istituzioni «che hanno lasciato sola Carmela» e che a suo dire «non hanno dato nemmeno sufficienti supporti e sussidi (economici e psicologici)» ai due orfani. E le critiche sono anche per la «macchina giudiziaria che funziona per chi commette reati senza però preoccuparsi di chi li subisce» dichiara il familiare ricordando come Quarta, recluso agli arresti domiciliari a fine 2014, per aver violato per quattro volte il divieto di avvicinare l’ex, tempo qualche mese era tornato libero «grazie a una perizia di parte che asseriva che era una persona tranquilla».
Papà Morlino, ex docente ed ex assessore foggiano, già residente in Trentino, assieme alla moglie, anche lei insegnante in pensione, da otto anni a questa parte tentano di sopravvivere a un dolore che consuma e ancora urla. Giorno per giorno. E il senso del loro vivere è legato all’amore per i loro nipoti, figli di Carmela, che si stanno facendo ragazzi e di cui hanno ottenuto l’affidamento. Ma anche a una sorta di campagna di sensibilizzazione che stanno portando avanti con la loro testimonianza, con i loro appelli, raccontando quanto accaduto alla loro amata figlia. Per scongiurare che accada ancora, ad altre come lei.
«Nuove generazioni da educare»
Eppure Matteo Morlino, che cita anche l’ultimo caso, quella della studentessa universitaria veneziana Giulia Cecchettin uccisa dal suo ex, sa bene che non è possibile estirpare questo devastante cancro dalla società. Almeno non ora. «Purtroppo Giulia non sarà l’ultima — sospira il genitore — Se non si affronta il problema con soluzioni reali e non solo di facciata, continuerà ad esistere e riguarderà fasce d’età sempre più basse. Già le statistiche attuali dicono che l’età di questi uomini che maltrattano e uccidono le donne si è abbassata. E anche questo preoccupa tantissimo». Per Morlino «Bisogna intervenire subito per ridurre il fenomeno, sennò è una battaglia persa. È necessario educare le nuove generazioni. E farlo fin dalle scuole materne, non dalle superiori: un investimento per il futuro, perché — chiosa — i problemi si risolvono a monte e non a valle e nell’immediato non c’è bacchetta magica». Per l’ex docente ed ex amministratore comunale c’è «un problema culturale che deve essere affrontato nell’immediato». E gli uomini che si arrogano la libertà di ammazzare una compagna, moglie, ex, madre o amica che sia, «rappresentano una sottocultura tanta — chiosa — un patriarcato che stenta a morire e che condiziona anche la stessa donna che subisce violenza, la quale si sente quasi colpevole per non essere riuscita ad evitare simili vessazioni e maltrattamenti. La vive come una sorta di vergogna, per non essere stata capace di evitare quelle violenze».
E la donna, in questo caso, non è l’unica vittima. «Si parla della donna ammazzata e non si tiene conto di chi resta, degli orfani, etichettati come orfani speciali, di cui non si conosce nemmeno un numero esatto, anche se per alcune associazioni sarebbero oltre duemila — prosegue Matteo Morlino — Figli che hanno assistito all’omicidio della propria madre e che porteranno questo trauma con loro sempre, impossibile da eliminare».