La doppia tragedia
giovedì 3 Novembre, 2022
di Benedetta Centin e Davide Orsato
L’autopsia non lascia spazio a dubbi: Massimiliano Lucietti, il cacciatore di 24 anni trovato morto lunedì mattina nei boschi sopra l’abitato di Celledizzo, frazione di Peio in cui abitava con la famiglia, è stato ucciso. Alle spalle. Un unico colpo di fucile che ha raggiunto l’operaio e vigile del fuoco volontario alla nuca ed è fuoriuscito dal collo. Ad esploderlo una carabina. Ad almeno mezzo metro di distanza. Ma potrebbero essere stati anche alcuni metri. Questo almeno secondo le prime indiscrezioni sull’esame autoptico effettuato ieri all’ospedale Santa Chiara di Trento, disposto dal pm Davide Ognibene, titolare dell’inchiesta aperta per omicidio colposo a carico di ignoti.
A dipanare gli altri dubbi, su dinamiche, responsabilità ed eventuali correlazioni con il suicidio del 59enne Maurizio Gionta, forestale in pensione trovato morto martedì mattina in zona — colui che il giorno prima aveva rinvenuto il giovane senza vita — saranno gli esiti degli ulteriori accertamenti delegati dal magistrato. Per dare un senso alla doppia tragedia (unico invece il fascicolo). Per oggi sono attesi gli esiti degli esami balistici e degli stub affidati ai carabinieri del Ris di Parma arrivati a Cles, e sul bossolo rinvenuto all’altezza dell’addome dell’operaio 24enne. Bossolo sequestrato assieme al fucile, che gli investigatori hanno rintracciato non così vicino al corpo, dopo l’allarme lanciato prima delle 8 da Gionta (il colpo è stato avvertito da alcuni residenti verso le 7.30). Sotto sigilli, lunedì sera, era finito anche il fucile del 59enne che era stato sentito per ore in caserma come persona informata sui fatti. E da quanto trapela ci sarebbe anche un altro cacciatore che è stato convocato dai militari per dare la sua versione.
Una delle tante in paese. Perché nella doppia tragedia di Celledizzo ci sono più verità: una è quella che, poco prima di spararsi, Gionta ha affidato a un piccolo biglietto: «Non attribuitemi colpe che io non ho». È la versione dietro a cui si è blindata la sua famiglia: la moglie, i due figli, i fratelli e i nipoti. Ed è una sua nipote, Emanuela, a fare da portavoce in un momento in cui il lutto rende difficile qualsiasi parola. «Martedì — racconta — mio zio è tornato a casa estremamente provato. Stanco e sconfortato».
Ne avevano parlato in molti. La lunga attesa sulla panchina, per ore, all’aperto, prima di essere ascoltato dagli investigatori, il sequestro dell’arma utilizzata. Maurizio si sentiva «nel mirino», anche se non era indagato. Un’incomprensione, forse? «C’è modo e modo – risponde la famiglia – di affrontare le cose. So solo che mio zio si è sentito addosso un peso incredibile. E non tutte le persone hanno le spalle larghe per poterlo sopportare».
Sembra quasi un paradosso legare quelle parole a un uomo di montagna, cacciatore di lungo corso con una lunga esperienza al Parco dello Stelvio. Una persona che, in paese, si era guadagnato il soprannome di «Furia». A tratti poteva sembrare un po’ irruento, dicono in valle, ma poi era sempre pronto a venire a patti. Un uomo che stava già vivendo un momento difficile, una stagione della vita in cui tutte le brutte notizie sembrano arrivare insieme.
Ieri pomeriggio, il corpo dell’uomo è tornato nel paese in cui ha sempre vissuto. L’ha portato il furgone delle onoranze funebri, dopo il via libera del magistrato: è stato posto in una cella mortuaria, chiusa al pubblico. Per i funerali, di entrambi, ci sarà ancora da aspettare: «Attendiamo disposizioni» dice don Enrico Pret, parroco dell’unità pastorale in val di Peio. E anche l’arcivescovo Lauro Tisi, nel corso della commemorazione per il giorno dei defunti, a Trento, ha espresso parole di vicinanza ai valligiani. E mentre le autorità cittadine, a partire dal sindaco Alberto Pretti, chiedono «prudenza e riserbo, perché è questa tragedia sta sconvolgendo la nostra comunità», al bar Diesel, all’ingresso del paese, vengono ricordati tutti e due, Maurizio e Max. «Furia» prendeva sempre un caffè d’orzo, il ragazzo pranzava con una piadina. E spesso si fermavano a chiacchierare, anche di caccia, quella passione condivisa fino alla tragica fine.