L'esperto
lunedì 1 Gennaio, 2024
di Simone Casciano
Come un gomitolo talmente ingarbugliato che ogni volta che se ne prende un capo per cercare di stenderlo si finiscono per creare solo nuovi nodi. Così appare la situazione geopolitica mondiale alla fine del 2023, ed è drammatico perché ognuno di quei tanti nodi che la compongono rappresenta un conflitto e centinaia se non migliaia di vittime, spesso civili. Come ci ricorda quanto sta succedendo nella striscia di Gaza da orma quasi due mesi. Purtroppo, secondo Sergio Fabbrini, direttore della School of Government e docente di Scienze politiche e relazioni internazionali all’Università Luiss di Roma, anche il 2024 non sembra portare con sé rapide soluzioni. C’è però una data da fissare sul calendario che porterà significativi cambiamenti, quella del 5 novembre, quando gli Stati Uniti andranno al voto per eleggere il loro nuovo presidente. Chi tra gli sfidanti, probabilmente Biden e Trump, risulterà vincitore avrà un peso significativo negli indirizzi futuri
Professor Fabbrini che hanno è stato il 2023?
«Direi che è stato l’anno di alcuni grandi ritorni, per nulla benvoluti. C’è stato il ritorno della guerra di trincea in Ucraina, una dinamica di cui avevamo perso memoria e che risale alla Prima guerra. Da un anno ormai Ucraina e Russia combattono sanguinose battaglie per pochi centimetri. Sembra una guerra d’altri tempi, con obiettivi poco chiari e costi molto alti in termini di vite umane che sta logorando entrambi i contendenti. Poi c’è stato il ritorno del terrorismo islamico, con gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, pensavamo fosse finito questo ruolo del terrorismo nello scenario mondiale. Ma il 7 ottobre ha riportato all’attenzione soprattutto un conflitto drammatico che non sembra avere risoluzione. Perché non sembrano esserci obiettivi negoziabili, da entrambe le parti si vuole annientare l’avversario. Né Hamas né il gruppo dirigente israeliano che fa capo a Netanyahu sono favorevoli ad una soluzione a due Stati. Poi c’è il grande ritorno di Donald Trump negli Stati Uniti. Un candidato con 91 capi d’imputazione, sotto accusa per il tentato colpo di stato a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, sottoposto a continui processi, che nonostante questo, cresce costantemente in termini di popolarità nel partito repubblicano, tanto che ci sono ormai pochi dubbi sul fatto che sarà lui il candidato conservatore l’anno prossimo. Infine, purtroppo, c’è anche il grande ritorno dell’inerzia europea, per molti aspetti preoccupante. Nonostante l’aggressione russa in Ucraina, l’Ue non ha ancora una sua politica estera unitaria, né una della difesa, non è in grado di garantire sicurezza ai suoi Paesi e a quelli che vogliono entrare nell’Unione come l’Ucraina. Siamo troppo divisi sugli interessi nazionali, e né la Francia, né la Germania riescono a emergere come leadership».
Il conflitto tra Ucraina e Russia come si svilupperà nel 2024?
«Temo che si protrarranno per tutto il 2024, le stesse dinamiche del conflitto che abbiamo visto quest’anno. Nessun contendente ha la forza per cancellare l’altro. Credo che entrambi aspetteranno di vedere chi sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti a novembre, quella è una condizione indispensabile per capire come evolverà il conflitto. Con Trump, Putin rischia di avere la strada spianata fino a dove lo portano le sue ambizioni, con Biden, Zelensky potrebbe avere ancora più supporto. Il 2024 lo vedo come un anno di guerra di trincea, ma anche un anno di guerra delle notizie, con fake news da entrambe le parti. Una guerra dai grandi costi umani. Sia di soldati che di civili. L’Ucraina se riceve gli aiuti dall’Europa a marzo e dagli Stati Uniti è in grado di reggere ancora un anno secondo gli osservatori. È difficile che possa andare a una trattativa visto che la Russia non è disponibile. Dopo le elezioni presidenziali americane bisognerà capire se cambierà l’atteggiamento di Putin. Alla Cina fa comodo che il conflitto si dilunghi, perché più la Russia si indebolisce più cresce la sua dipendenza, economica e quindi politica, dalla Cina stessa».
Ci spostiamo in Palestina?
«Qui la cattiva notizia è che non vedo nel 2024 una soluzione convinta da nessuna parte verso la pace. A livello israeliano servirebbe una sostituzione dell’attuale governo, ma anche Netanyahu aspetta le elezioni americane di novembre. La pace non può che passare da un nuovo governo israeliano, Netanyahu non è disposto a lavorare per essa e spera invece che l’arrivo di Trump porti il sostegno che ora Biden non gli sta concedendo. Credo che il presidente americano dovrebbe essere più determinato nel far valere le sue ragioni con il governo israeliano, ma al momento questo non si fa condizionare. Se guardiamo alla situazione palestinese, va detto che il fronte democratico è debole. Se si tenessero elezioni a Gaza ora difficilmente l’Olp potrebbe vincere, il supporto ad Hamas sembra diffuso. Va detto che c’è il rischio che Gaza non ci sia più, i ministri israeliani stanno parlando di spostare i palestinesi, ma per fortuna lì ci sono i limiti del diritto internazionale che fermano questo loro disegno di migrazioni forzate verso la Giordania e l’Egitto. Lo stesso obiettivo che portano avanti con i coloni in Cisgiordania così come con i bombardamenti».
In questo contesto l’Europa si avvicina a nuove elezioni.
«E i sondaggi danno in crescita i partiti di centrodestra e più in particolare dei partiti che fanno leva sul nazionalismo. Il problema però è che più crescono i nazionalismi, più è difficile immaginare una politica comune, una difesa comune. Sembra un paradosso ma è così, l’Europa rischia di diventare più un’identità geografica e meno un governo comune degli stati».
In tutto questo il convitato di pietra è la Cina?
«La Cina cresce, sfrutta queste difficoltà per uscire per un momento dalle dinamiche globali e sistemare i problemi interni. Ma sta crescendo l’India e forse pure il Brasile. Sarà un mondo multipolare, è evidente, ma senza la condivisione di regole comuni che permettono di andare d’accordo. E così le condizioni per i conflitti crescono».